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SAMARIA (2004)


"Samaria", presentato in anteprima al Festival di Berlino il 10 Febbraio 2004,è, senza alcun dubbio uno degli esiti più alti della poetica cinematografica del regista sud-coreano Kim Ki Duk (1960).

Teniamo presente che in questa ultima ventina di anni (diciamo, grosso modo, dalla fine degli anni Novanta o primi anni Zero) il cinema dell'Estremo Oriente (penso sopratutto a Corea del Sud e Giappone, ma non solo) rappresenta la punta di diamante dell'intero cinema mondiale ed è sicuramente, in generale, il cinema oggi più vitale.

Ecco, Kim Ki Duk è, sicuramente uno degli autori di punta, se non l'autore di punta per eccellenza del cinema Sud Coreano da fine anni Novanta ad oggi (egli esordisce con il film "Coccodrillo", del 1996)

Film sul rapporto tra due amiche adolescenti, su un suicidio, sul rapporto con la figura paterna, sul sacrificio: vi è tutto questo in "Samaria", film molto complesso e profondo (come del resto lo sono tutti i film di Kim Ki Duk).

Kim Ki Duk è sempre stato un regista che ha fatto discutere ed il suo cinema, come ho scritto sopra, non è certo facile, disseminato com'è di rarefazione e silenzio.

Cinema intriso (e questo "Samaria" ne costituisce un ottimo esempio) di religiosità, anzi di RELIGIOSITA (SUI GENERIS) DI TIPO ESISTENZIALE, di tormenti e di ricerca interiori, di rapporti sofferti con l'Altro, di ricerca incessante, o anche di solitudine.

Questo film del 2004 rappresenta bene molte di queste tensioni. Vi è in questo film, quindi, una PENETRAZIONE PROBLEMATICA E PROBLEMATIZZANTE DELL'ESISTENZA E DEI RAPPORTI INTERPERSONALI (e di cui l'epicentro è una delle due amiche adolescenti, Yeo Jin la quale procura clienti all'amica che si prostituisce e che in seguito si suicida; lo fanno per pagarsi un viaggio in Europa, dicevo Yeo Jin come epicentro della vicenda di cui viene dissezionato anche il rapporto con la figura paterna) E DI PROBLEMATIZZAZIONE DELLO STESSO CONCETTO DI SACRIFICIO (IL QUALE PASSA TRAMITE LA PROSTITUZIONE, IN QUESTO CASO).

In questo film i contrari si uniscono, e proprio in questo che risiedono il fascino misterioso e la forza non solo di "Samaria" ma di pressochè tutto il cinema di Kim Ki Duk.

Tutti i preconcetti, le regole, le idee sclerotizzate vengono poste in discussione, anche il cinema di Kim Ki Duk è un cinema che VA OLTRE, CHE SUPERA NON TANTO I LIMITI, QUANTO "IL LIMITE".

In questo senso "Samaria", ripeto, rappresenta al meglio quelle che sono tendenze e tensioni di tutto il cinema di Kim Ki Duk, regista non facile ed alieno dai compromessi proprio per questi motivi.

Quindi unione dei contrari, ribaltamento di senso, rappresentazione alternativa del Reale, messa in questione della mentalità borghese, e poi, ciò che giova al film, ma non solo a questo film a tutto il cinema estremo-orientale e non solo degli ultimissimi decenni e proprio il suo essere altro rispetto ai canoni della rappresentazione della cultura occidentale.

La forza di "Samaria" risiede proprio nella sua complessità e profondità, nella sua libera circolazione di senso, unita però ad un racconto puro, semplice, scarno, quasi come una parabola evangelica (ed anche in questo Kim Ki Duk si può considerare un autore religioso, anche se in un modo del tutto peculiare), che in questo modo innalza la vicenda, la rende solenne (anche in questo caso, come possiamo vedere, i contrari si uniscono, si compenetrano, fino a creare un materiale filmico del tutto originale ed anomalo).

"Samaria" è un film sulla vendetta, ma sopratutto un film sulla redenzione (questo stesso concetto rende in un modo più facile ed abbordabile l'idea del film come film "religioso") raggiungendo ineguagliabili vette di pathos emotivo e spirituale.

Film, dunque, sulla sofferenza esistenziale, sulla solitudine, sul rapporto con l'Altro, tutto questo viene rappresentato tramite un ritmo estremamente rarefatto punteggiato di silenzi, tutto questo non fa altro che rafforzare la rappresentazione stessa del noumeno della realtà, di quella che per Kim Ki Duk è la sua essenza più riposta.

L'ultima sequenza, di una sconvolgente bellezza nella sua solenne enigmaticità problematizza e mette in discussione la stessa linea di confine fra dimensione reale e dimensione onirica (mi sto riferendo alla scena della macchina con il padre, all'auto ferma nell'acqua, in quella solitaria pianura) ecco quello spazio inquadrato in questa ultima sequenza funge, potrei dire, da correllativo oggettivo di quelle che sono le relazioni interpersonali in questo film.

Ecco, con questo articolo ho cercato di evidenziare quelli che sono gli aspetti più misteriosi ed affascinanti di questo splendido film.

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