LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO (1976)
- Francesco De Maria
- 24 mar
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24 Marzo 2025
Francesco De Maria

Probabilmente gli anni Settanta sono stati il decennio migliore nel cinema Italiano per quanto riguarda l'Horror ed il Thriller, e fra le opere che svettano all'interno della produzione settantiana, già di per sè notevole, come ho scritto, compare sicuramente questo film di Pupi Avati (1938), dal titolo bizzarro e fortemente evocativo: "La Casa dalle Finestre che Ridono" uscito il 20 Agosto 1976.
Strano titolo, del tutto adatto ad uno strano film, ad un'opera che rimane appartata, anomala, proprio per il suo carattere apparentemente artigianale (dico apparentemente perchè la fase più propriamente artigianale di Pupi Avati si chiude già dopo i primi due film, già "La Mazurka del Barone della Santa e del Fico Fiorone" del 1975 apre una nuova fase produttiva, anche se non estetica e poetica, dal momento che alcuni punti fermi del cinema Avatiano erano già presenti nel film di esordio), del tutto libera, "selvaggia", difforme, irregolare.
Il film è un Thriller (ma anche un Horror) se non riduciamo la nostra idea di Horror al solo sovrannaturale, ma la estendiamo alla paura (nel senso pieno del termine) con tutto ciò che questo comporta.
Io credo che l'Horror (rispetto al Thriller) si confronti molto di più con l'inverosimile, e infatti la vicenda rappresentata nel film è del tutto inverosimile, ma proprio in virtù della sua inverosimiglianza, acquisisce una sua apparenza realistica (e come non mi stanco mai di ripetere la nozione di "realismo" è assai problematica in tutte le arti, e il Cinema non costituisce un' eccezione) perturbante, inquietante, angosciosa.
Perchè in questo film la realtà viene rovesciata di segno e rimessa in piedi mantenendo però tutte le coordinate orrorifiche.
E si tratta di un film profondamente avatiano, perchè il regista Bolognese ha sempre mostrato una propensione orrorifica, una propensione al fantastico, alla favola nera.
E ci troviamo di fronte ad un'opera fortemente avatiana anche nella descrizione (così icastica, apparentemente abbozzata da sole pennellate cinematografiche, eppure così vivida, articolata e "realistica") della provincia Emiliana, apparentemente bonaria e paciosa, la quale al suo fondo nasconde orrori indicibili.
Perchè con questa realtà misteriosa e deforme dovrà fare i conti Stefano (interpretato da Lino Capolicchio) il giovane restauratore chiamato dal sindaco della cittadina della provincia Ferrarese (con tutta probabilità la stessa Comacchio) a restaturare un misterioso ed inquietante affresco nella chiesa. L'affresco è centrale per lo snodarsi delle vicende del film: affresco realizzato da un pittore locale, Buono Legnani, mprto in circostanze misteriose vent'anni prima.
L'orrore pian piano si manifesterà con sempre maggior forza: delineando i contorni di una realtà da un lato omertosa, dall'altro nerissima, malata (se solo pensiamo a chi davvero fosse Buono Legnani, a chi davvero è la paralitica e a chi davvero è il prete), una realtà provinciale nella quale allignano omertà (l'intero paese), strani riti di magia nera, incesto, e delitti quasi "sacrificali" nel loro sadismo (e proprio questo l'affresco rappresenta, in tutta la sua orrida "bellezza").
Il protagonista dovrà decifrare una realtà indecifrabile, penetrare in una realtà impenetrabile: in un qualcosa che non è nemmeno immaginabile.
Il film, poi, riattinge ad alcune leggende regionali narrate dagli anziani che Pupi Avati ascoltò da bambino, e quindi riattinge ad una dimensione tradizionale, "folkloristica", e se solo ci pensiamo bene il film rappresenta una dimensione folkloristica orrorifica, siamo davvero alle prese con un Folk Horror Italiano.
In questo senso "La Casa dalle Finestre che Ridono" si allinea a tutta una tradizione cinematografica che si stava sedimentando nel corso degli anni Settanta, appunto.
E come ho scritto sopra questa realtà enigmatica, ingannevole, invero orrorifica si mostra in tutta la sua portata proprio nel colpo di scena finale, davvero impressionante, terrificante, malatissimo.
Perchè come ha scritto mirabilmente Antonello Sarno nel suo "Il Cinema dell'Orrore" ci troviamo di fronte ad una "storia di follia campestre".
Un orrore, fra l'altro che si fonde come un Tutto con la natura circostante, con i prati, gli alberi, le fronde verde scuro.
Una realtà naturale essa stessa fonte di paura ed inquietudine, così come la villa decrepita spersa nella campagna si fa anche punto focale dell'orrore indicibile, del nero mistero.
Io credo che per tutti questi motivi si possa annoverare "La Casa dalle Finestre che Ridono" come uno dei miglio Horror Italiani di sempre e come opera cinematografica imprenscindibile.
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