VENGA A PRENDERE IL CAFFE' DA NOI (1970)
11 Agosto 2023
Francesco De Maria
Ho già avuto modo di trattare del cinema di Alberto Lattuada (1914-2005), qui il link: https://slisso.wixsite.com/cineprospettive/single-post/la-spiaggia-1954 regista considerato assai importante, ma forse oggi meno menzionato e citato. Eppure questo autore ha scritto pagine importanti della Storia del Cinema Italiano, e non fa eccezione, per quanto mi riguarda, questo "Venga a Prendere il Caffè da Noi", uscito il 20 Settembre 1970, tratto da un romanzo di Piero Chiara.
Proprio come nei romanzi dello scrittore, ruolo fondamentale nel film lo riveste la stessa ambientazione provinciale (e di una provincia nello specifico, quella che si affaccia sul Lago Maggiore).
A ben vedere una provincia che ritorna svariate volte all'interno del Cinema Italiano, pensiamo solo al bello e cupo "La Stanza del Vescovo", di Dino Risi, del 1977, sempre con Ugo Tognazzi protagonista, per tacere di altri.
Lattuada dopo i suoi esordi Calligrafisti e poi para-Neorealisti, la disamina dei turbamenti adolescenziali; sembra virare con questo film nei territori della raffigurazione delle meschinità della vita di provincia.
Bisogna tenere presente sempre la tensione critica, polemica, talora satirica di Lattuada, il suo atteggiamento mai riconciliato con la realtà. come testimonia bene, ad esempio, proprio "La Spiaggia".
Un matrimonio di interesse da parte del protagonista (il ragioniere, interpretato da Ugo Tognazzi, appunto), ed un rapporto con le tre sorelle, sposandone una e flirtando anche con le altre due: tali eccessi causeranno una trombosi ed una conseguente paralisi. Sulla sedia a rotelle sarà servito e riverito da tutte e tre. Ecco, io credo che da un lato, abbia un senso, come ad esempio certa critica cinematografica francese fece, all'uscita del film, citare il cinema di Claude Chabrol: pur nella profonda diversità, questo film, come nei film del grande francese compie una disamina della vita di provincia: dei vizi della provincia.
Ma il tutto è virato nei toni da Commedia, anche se amari e talvolta grotteschi. Il regista ci aveva già abituati ad una declinazione grottesca e satirica della Commedia, se solo pensiamo al superbo "Mafioso", del 1962 (alla sceneggiatura Marco Ferreri e Rafael Azcona, e non è un caso). Ecco, "Venga a Prendere il Caffè da Noi" riunisce in se la disamina antropologica della vita di provincia, il tutto calato in una dimensione satirica, grottesca.
Quello che colpisce, guardando il film, è proprio la CORRUZIONE MORALE che sembra pervadere un po' tutto: il calcolo cinico, la strumentalizzazione dell'altro, e dunque anche la intrinseca superficialità dei rapporti umani.
A ben vedere, questo è un tratto tipico di molto cinema di Lattuada: i suoi strali infatti si rivolgono proprio al cinismo, al culto dell'apparire, alla strumentalizzazione degli altri, all'incapacità di conoscere e di conoscersi, dunque alla superficialità emotiva e psicologica.
Infatti è il VUOTO CULTURALE ED ESISTENZIALE a farsi presenza incombente nel film, oltre ad una sgradevole sensazione di immobilismo, di "impaludamento".
Ed è come se Lattuada volesse SVELARE LA REALTA' DIETRO L'APPARENZA; anzi è proprio questa la sua operazione culturale ed estetica.
Come accade spesso, niente è come sembra. E questa provincia, vagamente corrotta, è nata e cresciuta su "ciò che sembra".
Lo stesso protagonista, nelle sue prodezze erotiche con le tre sorelle, si fa emblema di un'umanità provinciale non tanto in balia dei vizi, io credo, ma di qualcosa di più nascosto, di meno scontato ed ovvio: di un'umanità legata a doppio filo ad un bisogno unico e totalizzante di soddisfacimento di immediati bisogni fisici.
E poi, la stessa attività erotica è anche strumento di affermazione sociale, essa stessa è alienata e reificata, per così dire. E comunque: ci troviamo di fronte ad un'umanità "bassa", legata solo al soddisfacimento di pulsioni. Ecco, io credo che questo elemento ne richiami un altro: si tratta del tentativo, da parte dei personaggi del film di coprire il proprio vuoto interiore, la propria noia, il proprio vuoto esistenziale.
La stessa presenza del cibo è un altro elemento che rafforza il discorso sul soddisfacimento di bisogni immediati e primari. Ad ogni modo quello che forse più colpisce del film è proprio il calcolo cinico del protagonista, la strumentalizzazione degli altri (e di sè), la sottile alienazione esistenziale che pervade il film, se solo scrostiamo la vernice da "commedia" (tra l'altro amara, cinica e grottesca).
Ed è proprio l'amarezza a rendere il film così critico, corrosivo, e così cinematograficamente ed esteticamente valido.
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