REPULSIONN (1965)
12 Ottobre 2020
"Repulsion" presentato in anteprima al Festival di Cannes il 19 Maggio 1965 è il secondo lungometraggio di Roman Polanski (1933). Prima di allora egli aveva realizzato solo alcuni cortometraggi ed il lungometraggio di esordio "Il Coltello nell'Acqua", del 1962.
Polanski fu un capofila del Nuovo Cinema Polacco degli anni Sessanta (in verità nato già fra metà e fine anni Cinquanta).
Film sulla schizofrenia, sul delirio, sulla solitudine, sull'APPARTAMENTO VISTO COME EPICENTRO DELL'INCUBO (e lo stesso Polanski ci abituerà a questo, anche in seguito con film come "Rosemary's Baby del 1968 oppure "Le Locataire" del 1976, al quale ho dedicato un mio articolo, qui il link:https://slisso.wixsite.com/cineprospettive/single-post/2017/07/28/le-locataire-1976).
Il film narra di un lento scivolamento nella follia di una giovane estetista belga (una giovanissima Catherine Deneuve) residente a Londra la quale vive con la sorella. La ragazza sempre più faticosamente riesce a distinguere la realtà dall'incubo ed è una figura molto sola, sofferente, spaventata dagli uomini e dal sesso.
Realtà e delirio andranno sempre più a confondersi, lo stesso PUNTO DI VISTA DEL PROTAGONISTA SI FA IN UNA CERTA MISURA REALTA', ma la domanda che lo spettatore si pone è: quanto ciò che il regista mi mostra è frutto del delirio, e quanto invece potrebbe essere reale?
"Repulsion" è considerato uno dei film più inquietanti di Polanski, film fra l'altro girato in un bianco e nero stupendo e molto evocativo, e con un forte ed insistito richiamo al Cinema Espressionista ed alla grande tradizione del Cinema Muto, proprio nella deformazione degli spazi e degli ambienti, nell'uso del grandangolo, in più siamo testimoni di un uso creativo del sonoro.
Lo stesso appartamento si FA LUOGO DELL'ANIMA, SPAZIO PSICHICO. Diventa quasi la manifestazione oggettiva (in un film come stiamo vedendo, estremamente "soggettivo") della psiche tormentata della protagonista.
"Repulsion", a ben vedere, vive di questa dicotomia dinamica, di questo rimpallo continuo fra oggettività e soggettività, fra ciò che è oggettivo e ciò che è soggettivo, problematizzandone la relazione.
Le stesse sequenze oniriche sono molto vivide e "realistiche" proprio come a voler dimostrare questo intreccio indissolubile fra realtà e delirio (ed a monte, come ho scritto sopra, fra oggettivo e soggettivo, dunque).
L'uso del sonoro come ho accennato sopra è molto creativo, inedito, in un certo senso: il suono viene amplificato, deformato, reso insistente, ritmico, quasi a diventare una bizzarra e deforme colonna sonora delle vicende psichiche della protagonista.
La stessa sessuofobia (ed androfobia) della giovane sono elementi da tenere assolutamente presenti nell'approccio al film, dal momento che sostanziano i suoi incubi.
Teniamo poi presente che la sua discesa nell'abisso della follia sarà accompagnata addirittura da un omicidio. E poi: il senso di claustrofobia che emana dal film è del tutto palpabile.
Quindi siamo alle prese con un orrore di tipo psicologico, l'orrore si crea e si sviluppa all'interno dello spazio psichico fino a coinvolgere il piano oggettivo e reale. Ma è anche la stessa realtà ad essere invivibile, angosciante, latentemente deforme. Qui giace il carattere problematizzante e provocatorio del film.
Pensiamo alla scena del proprietario di casa che deve riscuotere l'affitto: quanto è reale? Ma anche se tutto fosse reale, siamo alle prese con una rappresentazione molto cupa e pessimista della realtà, fatta di sopraffazione, violenza, atteggiamenti padronali, strumentalizzazione dell'altro. Questo il nodo (forse indistricabile, del film).
Lo stesso appartamento potrebbe farsi SIMBOLO EVIDENTE E MATERIALE DELL'INCUBO E DELL'IMMAGINARIO SESSUALE DELLA PROTAGONISTA.
La psicopatologia sessuale della ragazza è evidente, ed il film, infatti presenta molti simboli sessuali, e rimandi quasi cifrati alla dimensione sessuale.
Forse , come è stato scritto è la stessa repressione sessuale a generare i mostri, l'orrore vero è quello della repressione. Ma io aggiungerei questo: a monte della repressione vi è un trauma; Polanski suggerisce, nel corso del film, che la protagonista ha subito un trauma, ma senza specificarlo. IL MISTERO DEL TRAUMA, dunque: "Repulsion" è un FILM CHE NON SPIEGA, in uno dei modi più radicali possibili.
La stessa deformazione estrema e radicale della realtà emerge fortemente dall'incredibile scena delle mani che emergono dalle mura della casa, "minacciando" la protagonista.
Una scena che rappresenta a mio avviso la chiave di volta iconica del senso misterioso di questo meraviglioso film.
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