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QUEL CHE RESTA DEL GIORNO (1993)

11 Luglio 2022


Francesco De Maria



Torno al cinema di James Ivory (1928) dopo il mio precedente articolo su un altro suo film, qui il link: https://slisso.wixsite.com/cineprospettive/single-post/casa-howard-1992. Questo "Quel che Resta del Giorno", uscito il 25 Ottobre 1993, presenta gli stessi attori principali del film precedente, Anthony Hopkins ed Emma Thompson, ma si cambia scenario, il film è narrato come un lungo flashback dal maggiordomo, interpretato, appunto, da Anthony Hopkins, il quale, nel 1958 rievoca i momenti salienti del suo passato (gli anni Venta e Trenta) quando le nubi della guerra si addensavano sull'Inghilterra e sull'Europa, e del suo rapporto complesso ed enigmatico con la governante (interpretata, appunto, da Emma Thompson), i quali sono entrambi a servizio nella magione dei Darlington, nella cosiddetta Darlington Hall.

In questo film Ivory continua ad approfondire la sua disamina dei rapporti di classe e del classismo (il maggiordomo, Stevens, è solerte e fedelissimo ai Darlington, i quali apprezzano queste sue caratteristiche, ma tengono comunque molto nette e definite le distanze sociali ed umane).

Tale analisi sociale viene articolata anche in una disamina storica più approfondita (Lord Darlington che non nasconde la sua simpatia per il nazismo) di come le classi "alte" inglesi fossero, molto spesso, schierate almeno idealmente con l'estrema destra.

Da un lato rispetto al film precedente vi è una minore freddezza, è come se Ivory volesse riproporre con forza ed in modo più classico e tradizionale le strutture del melodramma (lo stesso rapporto "difficile" fra il maggiordomo e la governante, eppure ATTRAVERSATO DA FREMITI E PALPITI), ma al contempo in "Quel che Resta del Giorno" vi è un attenzione posta sulla psicologia APPARENTEMENTE FREDDA del maggiordomo.

Stevens (questo il suo nome) è solerte, zelante, meticoloso, ma è anche una MASCHERA SOCIALE, UN INVOLUCRO. La governante, Sally Kenton, tenta di spezzare quella almeno apparente graniticità, di conoscere l'uomo, di INCONTRARSI EMOTIVAMENTE E NEL PROFONDO.

Stevens, a ben vedere, rimarrà, nel corso di tutto il film un'enigma: in che misura l'uomo è davvero così (freddo, arido, distaccato) ed in che misura, invece, si è costruita una maschera?

Ad ogni modo, si tratta di un uomo che si è DISSECCATO NEL FAR COINCIDERE SE STESSO CON IL PROPRIO RUOLO SOCIALE.

Secondo me, mentre la figura femminile è rappresentata nei suoi slanci e nelle sue curiosità, attraverso la figura del maggiordomo PASSA UN DISCORSO SOCIALE, STEVENS E' DEL TUTTO UN PRODOTTO DI UN AMBIENTE, IL PRODOTTO DI UNA RICHIESTA SOCIALE.

In questo consiste il suo disseccamento, la sua impenetrabilità, è un uomo-maschera: il conflitto (sottile, complicato, sfumato) si innesca con la donna nel momento in cui questa VORRA' CONOSCERLO E CAPIRLO.

In questo senso, nel corso del film, si intesse una sorta di "conflitto melodrammatico" (perchè legato ai sentimenti ed alla possibile mancanza di essi, dall'altro lato) e sullo sfondo la grande Storia, i grandi conflitti, e non solo: il classismo e l'autoritarismo (nemmeno tanto) strisciante che pervade Darlington Hall.

Ma siamo alle prese con un film intessuto di nostalgia, un film sulla memoria, sul tempo che passa, su possibili rimpianti, ed anche tutti questi elementi concorrono a creare una sorta di melodramma "sui generis".

A James Ivory non è mai interessato un melodramma facile o strappalacrime, ovviamente.

Questo film vive molto sul non detto, su ciò (e qui risiede la sua grandezza e bellezza) che FORSE si cela. Ogni spettatore è libero di ricostruire e re-interpretare.

Il regista riesce anche perfettamente nel proposito di coniugare e far convergere storia privata e storia universale, privato e pubblico, con rimandi continui fra una sfera e l'altra. Del resto questo è un tratto tipico di molto cinema di James Ivory.

Ma è anche un film sulla storia di una sconfitta, di uno scacco, emotivo, psicologico e sentimentale prima ancora che esistenziale, dal momento che Stevens sembra non riuscire a comunicare (in senso profondo) con nessuno, nemmeno con Sally Kenton, la quale si è aperta, fiduciosa, a lui.

Anche in questo risiede la malinconia che, a ben vedere, pervade l'intero film. Nonostante, mi verrebbe da dire, una certa magnificenza e splendore visivo negli interni e soprattutto negli esterni, nella resa stupenda delle tenute inglesi.

Sono queste , a mio avviso, le caratteristiche salienti a rendere "Quel che Resta del Giorno" un film bello, importante che non esiterei a definire l'opera maggiore di James Ivory, il suo capolavoro.



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