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LUDWIG (1973)

  • Francesco De Maria
  • 10 feb
  • Tempo di lettura: 3 min

10 Febbraio 2025


Francesco De Maria



Ho già avuto modo di trattare del cinema di Luchino Visconti (1906-1976), e più nello specifico di un film appartenente alla fase tarda del regista, qui il link: https://slisso.wixsite.com/cineprospettive/single-post/2016/04/11/morte-a-venezia-1971 ed anche in questo nuovo articolo mi occuperò di un film della fase tarda dell'opera del regista, vale a dire di "Ludwig", uscito il 18 Gennaio 1973, forse il film Viscontiano più magniloquente e maestoso.

Si tratta di un film della durata di più di tre ore e mezzo che narra l'intera (breve) vita del re "folle" ed esteta di Baviera, Ludwig di Wittelsbach (interpretato da Helmut Berger): del suo rifiuto del reale, del suo rifugiarsi in un mondo di sogni fatato, popolato dagli eroi del teatro musicale del suo amatissimo Richard Wagner, del suo rapporto con la cugina Sissi (interpretata da Romy Schneider), del suo rapporto complesso e contrastato con lo stesso Wagner, della sua omosessualità latente.

Ludwig muore in maniera misteriosa, ufficialmente si tratta di un suicidio, ma Visconti suggerisce, con questo film che si possa essere trattato di un omicidio: il re stava diventando troppo scomodo, vuoi per il suo stile di vita dispendioso, vuoi per la sua mancanza di senso pratico e per il suo disinteresse nei riguardi dell'amministrazione della cosa pubblica.

Il regista è fortemente attratto dalla figura di Ludwig: VISTO COME UN EROE DECADENTE, ESTETA E ROMANTICO, ALLA RICERCA DELL'ASSOLUTO.

E' come se nel re di Baviera il principio di Realtà avesse completamente ceduto il passo al principio di Piacere. il suo amore per l'Arte (per la Musica in primis) si configura come una sorta di fuga dalla realtà, ma anche come RICERCA DI UN OLTRE AUTENTICO E DAL FORTE SIGNIFICATO SIMBOLICO.

Questo film va a comporre, insieme a "La caduta degli Dei" del 1969 e a "Morte a Venezia" del 1971 la cosiddetta "trilogia tedesca" nella quale lo stesso "estetismo" e "decadentismo" viscontiano si manifesta con più forza.

In questa fase tarda, appunto, di fine anni Sessanta-inizio anni Settanta la stessa ricerca scenografica da parte del regista si fa ancora più meticolosa e puntigliosa, anche rispetto, poniamo ad un film di molti anni prima, come "Senso" (1954).

E' un film, "Ludwig" che continuamente riequilibra una sorta di "realismo" (e non mi stancherò mai di ripetere che la nozione di realismo è assai problematica nell'arte ed a maggior ragione, anche se questo potrà apparire paradossale, in un arte come il Cinema) con uno slancio "romantico", che trascende continuamente il dato "realistico".

Questo lo possiamo vedere nella stessa caratterizzazione del personaggio di Sissi, la quale rispetto alla trilogia austriaca di Ernst Marischka del 1955-1957 (nella quale la principessa viene interpretata sempre da Romy Schneider) assume connotati più veritieri e reali, molto meno "romanticizzati".

La stessa colonna sonora del film caratterizza incisivamente la vicenda narrata e rappresentata dal momento che molti dei brani appartengono ad opere wagneriane, andando così a creare una sorta di prolungamento fra realtà filmica e realtà creativa e realizzativa.

"Ludwig" è anche una sorta di film mutante se solo pensiamo a come (e questo aspetto, molto giustamente è stato spesso evidenziato dai critici) si incupisca, assumendo tonalità (anche a livello coloristico, cromatico) progressivamente sempre più cupe e "funeree".

Lo stesso re sembra discendere nel baratro di una sorta di "follia", di paranoia, di delirio di persecuzione (tra l'altro, talora parzialemnte giustificato, dal momento che, a causa del suo comportamento del tutto eccentrico si attira l'ostilità di ministri e colaboratori, nonchè della famiglia).

Io concordo solo parzialmente con chi sostiene che in "Ludwig" è rappresentata l'impossibilità dell'estetismo a fronte di una realtà sempre più "moderna", io credo che vi sia, nel film, qualcosa di più assoluto ed astratto: quella caratteristica c'è, senz'altro, ma è presente qualcosa di più radicale: l'impossibilità dell'estetismo a fronte dell'opacità, dell'inerzia del reale, di un mortificante principio di realtà atto a giustificare compromessi e rinunce.

Con questo film lo stesso Visconti mostra tutto il suo culto "estetista" della bellezza e dell'Arte: il tutto è testimoniato non solo dal puntiglio scenografico (che, come ho detto raggiunge in questo film il suo acme) ma anche dallo sfarzo (mai fine a se stesso) della messinscena il quale si fa manifestazione poetica e concreta al contempo della ricerca spasmodica da parte di Ludwig di una sorta di Assoluto.

Ed assoluto rimane un film come "Ludwig".



 
 
 

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