A CAVALLO DELLA TIGRE (1961)
3 Aprile 2023
Francesco De Maria
"A Cavallo della Tigre" è davvero l'opera maledetta del regista Luigi Comencini (1916-2007). Opera maledetta per più motivi: per il furore iconoclasta che attraversa il film, per le accidentate vicissitudini critiche, per rimanere ancora oggi, 2023, anche se solo parzialmente, un film "sommerso", nascosto, sotterraneo, misconosciuto.
Eppure il film va a costituire, indubbiamente, uno dei risultati di punta, sotto il profilo cinematografico ed estetico della Commedia all'Italiana, rappresentandone l'anima, appunto, più amara, critica ed iconoclasta.
Uscito il 20 Dicembre 1961, "A Cavallo della Tigre" sembra davvero voler radicalizzare gli assunti base della Commedia all'Italiana (la disamina antropologica degli Italiani, l'analisi sociale, la satira, l'amarezza di fondo, una certa virata al Grottesco) restituendoci l'immagine di un Reale Sociale disgregato, degradato, emarginato.
Il protagonista è Nino Manfredi (il quale, non dimentichiamolo, è uno degli attori simbolo della Commedia all'Italiana) nella parte di un povero e derelitto autista con problemi economici il quale viene arrestato per simulazione di reato. In carcere conoscerà altri due detenuti (due giovani Mario Adorf e Gian Maria Volontè) con i quali pianificherà e realizzerà una fuga dalla prigione. Dopo una serie di peripezie verranno arrestati di nuovo e rispediti in carcere.
Ho già trattato del cinema di Comencini, nella fattispecie di un film come "Tutti a Casa", qui il link: https://slisso.wixsite.com/cineprospettive/single-post/2016/02/12/tutti-a-casa-1960. Mi viene spontaneo accostare i due film: dello stesso regista, appunto, usciti ad un anno di distanza. se nel film del 1960 assistiamo ad una sorta di progressivo innalzamento epico e semi-eroico, di una presa di consapevolezza coraggiosa da parte del protagonista, in questo film del 1961 siamo davanti ad un'OPERAZIONE DI ABBASSAMENTO, AD UN CONTRO-CANTO SATIRICO E GROTTESCO DI ALCUNE VICENDE UMANE.
Pur rientrando, entrambi i film, all'interno dei parametri della Commedia all'Italiana, sono due film agli antipodi (programmaticamente) mostrando come la Commedia all'Italiana era davvero uno SPAZIO CINEMATOGRAFICO, CULTURALE ED ESTETICO VERGINE, LIBERO. ALL'INTERNO DI ALCUNI PARAMETRI LE VARIABILI ERANO POI INFINITE, E POTEVANO ARTICOLARSI CONTRADDITTORIAMENTE.
In "A Cavallo della Tigre" siamo alle prese con il BASSO CORPOREO, LA SATIRA DISPERATA ED AMARA, IL BASSOFONDO UMANO E SOCIALE. E' questo che Comencini vuole raffigurare, riuscendoci pienamente. E paradossalmente proprio questo successo creativo è stato causa di un insuccesso di pubblico e parzialmente di critica.
Film scontroso, difficile, problematico e problematiizante: film, che, fra le altre cose mostra il CONTRO-BOOM: di contro alle magnifiche sorti del miracolo economico italiano, "A Cavallo della Tigre" mostra il rovescio della medaglia: un'Italia cenciosa, stracciona, socialmente perdente, derelitta e marginale.
La marginalità, appunto: Nino Manfredi non solo è uno sconfitto, ma è anche un uomo estraneo rispetto al suo ambiente, come sottolineato spesso: non solo all'ambiente carcerario, ma allo stesso ambiente familiare.
Io credo che attraverso questo aspetto non passi solo una forte e radicale critica sociale, ma anche un discorso esistenziale, vale a dire un discorso sulla condizione esistenziale calata all'interno dell'Italia del miracolo economico.
Lo stesso bianco e nero del film (Aldo Scavarda) dona al film quella sua NETTEZZA VISIVA E DI RESA AMBIENTALE.
La stessa voglia di libertà, la fuga, etc. si vanno a scontrare drammaticamente con una sorta di opacità del reale, di inerzia del reale, che respinge i tre uomini, continuamente, due dei tre, come ho scritto sopra, verranno rispediti in prigione, ed ecco dunque che il film si chiude, pessimisticamente ed amaramente nella sconfitta, nello scacco esistenziale.
Non c'è via di uscita per questi reietti, vittime di un sistema sociale ingiusto. Attraverso questo rovesciamento abbassante e cinico, passa tutto il discorso critico ed eversivo del film: il regista punta il dito proprio contro un sistema sociale ingiusto, che permette il formarsi dell'emarginazione umana e sociale.
Il film va a costituirsi come una vera e propria SATIRA (con tutto ciò che tale nozione comporta).
Un film che può benissimo essere annoverato fra i grandi classici del Cinema Italiano, se solo pensiamo che il compianto Carlo Mazzacurati ne realizzò una sorta di remake nel 2002.
Un film che torreggia, e non solo all' interno del panorama del Cinema Italiano dei primi anni Sessanta.
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