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UN UOMO CHIAMATO CAVALLO (1970)

2 Agosto 2023


Francesco De Maria




Ci sono registi cinematografici il cui nome scompare dietro il film. Ed è il caso del regista Elliot Silverstein (1927) e di quello che può considerarsi il suo capolavoro, vale a dire "Un Uomo Chiamato Cavallo", uscito il 2 Aprile 1970.

Silverstein, nel corso della sua carriera ha, ovviamente realizzato anche altri film, qualcuno dei quali comunque interessante, ed ha al suo attivo anche la realizzazione di qualche episodio della notevole serie Tv "The Twilight Zone" nel corso dei primi anni Sessanta.

Incominciamo subito con il dire che "Un Uomo Chiamato Cavallo" non è solo un film bello ed interessante, ma anche un film che ha rivestito (e riveste tuttora) un notevole significato simbolico.

Perchè si tratta di un film non solo emblematico di quell'orientamento cinematografico denominato New Hollywood, ma anche simbolo del Western Revisionista e filo-indiano di fine anni Sessanta-primi anni Settanta, anche se con modalità diverse, ad esempio da "Tell Them Willie Boy is Here", del quale ho trattato in uno dei miei ultimi articoli.

Il film è ambientato attorno al 1825 ed ha come protagonista un nobile inglese in viaggio nei selvaggi territori Americani (interpretato da Richard Harris) il quale viene catturato e fatto prigioniero dai Sioux. Diventerà egli stesso, dopo vari riti di iniziazione, un Sioux.

Un uomo chiamato cavallo, appunto: il protagonista adotterà il nome di "Shunkawakan" che in lingua Sioux significa "Cavallo".

Il film mostra anche una certa attitudine realistica se solo pemsiamo all'attenzione rivolta alle usanze, ai costumi Sioux, ma anche alla stessa lingua.

Si tratta di un FILM SU UNA RELAZIONE DI SCONTRO E DI INCONTRO FRA L'UOMO BIANCO ED IL PELLEROSSA, DI PIU': UN FILM SULL'ASSIMILAZIONE.

Tant'è vero che l'uomo bianco diventerà un Sioux. Ed è proprio attraverso il discorso sull'assimilazione che il film si struttura, si organizza in opera Revisionista e filo-indiana.

In questo film i pellerossa non sono pure e semplici vittime, come accade nel pur bello e notevole "Soldato Blu" dello stesso anno, ma sono, per alcuni versi più assimilabili ad i Nativi mostrati in "Piccolo Grande Uomo" di Arthur Penn, visti come popolo "attivo" e creatore di cultura e di miti.

In "Soldato Blu" (film dal forte afflato umanistico, comunque) si pone l'attenzione maggiore sulla condizione di vittime dei pellerossa.

Quindi, in questo senso i Sioux davvero assurgono a PROTAGONISTI (con tutto ciò che questo comporta). In "Un Uomo Chiamato Cavallo" assistiamo ad un rovesciamento radicale di prospettiva: L'EGEMONIA CULTURALE LA POSSIEDONO I SIOUX, E NON L'UOMO BIANCO.

Io credo che in questo risiede il forte significato critico, polemico del film, che in tal modo si allinea non solo al Western Revisionista (il quale è stato critico ed eversivo in molte maniere diverse, a seconda dei singoli film) ma più in generale all'inquietudine, alla problematicità di moltissima produzione Neo-Hollywoodiana.

Il film è anche un racconto di formazione, se soltanto pensiamo alle prove che il protagonista deve superare, ed alla prova più importante: quella del dolore. Solo in tal modo egli verrà davvero accettato dai Sioux, potendo così diventare membro della tribù. Potendo davvero ABBRACCIARE LA LORO CULTURA, ASSIMILANDONE LA PERCEZIONE ALTERNATIVA DEL MONDO E DELL'ESISTENZA.

E tutta l'attenzione che Silverstein rivolge alla descrizione realistica delle usanze Sioux è atta a far risaltare meglio l'alterità del Sioux rispetto all'uomo bianco, il suo essere altro, il suo enigma.

Il Cinema si fa così strumento conoscitivo ed esplorativo, rivelatore di realtà nascoste, misconosciute, perchè oppresse, represse, emarginate.

La stessa prova del dolore, poi, è una delle sequenze più memorabili ed iconiche del film: assistiamo ad una sorta di alterazione onirica della realtà, ad una resa quasi psichedelica, assimilabile a certe tendenze di quegli anni, soprattutto nel campo del Cinema Underground.

Il film vive anche di una certa resa visiva particolare, soprattutto in alcune sequenze: e come si può intuire dal mio articolo, siamo alle prese con un film comunque articolato, composito, che io trovo "inquieto", in qualche modo.

Un film eversivo nella resa realistica ed esplorativa della realtà Sioux, nel discorso sull'assimilazione alla rovescia, ma anche in alcune "fughe" visive davvero notevoli.



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