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MILANO CALIBRO 9 (1972)

11 Gennaio 2021



Per il cinema di Fernando Di Leo (1932-2003) è sempre stata stretta la definizione di "poliziottesco" come i critici perbenisti dell'epoca definivano un certo tipo di film o anche del termine più neutro (e comunque da un punto di vista storico-critico più corretto) di poliziesco all'italiana. La definizione che più si attaglia per il suo cinema è sicuramente quella di Polar, di Polar all'Italiana: un tipo di cinema di derivazione francese, a mezza strada tra il Film Noir ed il Film Poliziesco, un cinema segnato da un tragico fatalismo, da personaggi solitari e sconfitti, dallo scacco esistenziale. La rappresentazione che il Polar dava del "milieu" (la malavita francese, sopratutto parigina e marsigliese) era una rappresentazione in qualche modo romantica, tragica e fatalista.

Ecco, Di Leo riattinge a quella tradizione, forse unico caso nel Cinema di Genere italiano ad ispirarsi in modo così incondizionato a quel tipo di cinema, guardando comunque anche al Film Gris americano (sopratutto a John Huston e ad un film come "Giungla d'Asfalto), ma non solo: anche a tutta la tendenza letteraria dell'Hard Boiled americano (Chandler, Hammett, etc), genere letterario di derivazione poliziesca, che raffigurava in modo secco crimine e violenza delle metropoli americane, incentrandosi sulla figura solitaria del detective (Sam Spade, Philip Marlowe), genere letterario, ad ogni modo, che contribuirà alla nascita ed alla formazione del Film Noir nei primi anni Quaranta. Questo è l'humus culturale da cui sorge il cinema di Di Leo, un cinema mai qualunquista (come talvolta veniva definito una parte del poliziesco all'italiana) e ancor meno reazionario (come veniva definito un'altra parte, spesso frettolosamente e in maniera piuttosto ingiusta) ma un cinema realizzato da un uomo di sinistra, un cinema quasi di inchiesta, in un certo senso nel suo voler analizzare e raffigurare criticamente gli intrecci opachi fra criminalità organizzata e grande capitale.

"Milano Calibro 9" uscito il 15 Febbraio 1972 è il primo capitolo della cosiddetta "trilogia del milieu" composta anche da "La Mala Ordina", sempre del 1972 e da "Il Boss", dell'anno successivo.

Film sulle vicende di un criminale appena uscito di prigione, Ugo Piazza (interpretato da Gastone Moschin) che viene braccato da un'organizzazione mafiosa a causa di una grossa somma di denaro che Moschin ha nascosto da qualche parte. Di mezzo c'è anche una donna (Barbara Bouchet) un tempo, prima della prigione amante del protagonista e che poi lo tradirà. Lo scagnozzo inviato dal boss mafioso, vero e proprio antagonista è invece interpretato da Mario Adorf. La trama non ha niente di davvero originale, ma l'originalità del film consiste proprio nel PERSONALIZZARE LA LEZIONE FRANCESE (JEAN PIERRE MELVILLE) E QUELLA AMERICANA (JOHN HUSTON), nel riuscire a trasporre in Italia ORIENTAMENTI TIPICI DI QUELLE CINEMATOGRAFIE.

Quello che è davvero inedito è come viene CINEMATOGRAFICAMENTE RIPRESA LA CITTA' DI MILANO, COME VIENE CINEMATOGRAFIZZATA.

In questo film Milano davvero si trasforma in città gangsteristica, con la sua nebbia, i suoi scorci di periferia, la contrapposizione tra piccola mala e grande criminalità organizzata (meridionale).

La stessa figura della "femme fatale" Barbara Bouchet (ed indimenticabile la scena della danza) rimane impressa, nella sua apparente dolcezza che cela invece un'anima nera.

In questo film i personaggi sono CINEMATOGRAFICAMENTE SCOLPITI, così caratteristici nelle loro movenze, così icastici, così iconici.

Quello che rimane impresso di questo film è anche il nichilismo di fondo, Moschin tradito e sconfitto morirà alla fine del film, la città di Milano è vista come un autentico anche se parzialmente nascosto) campo di battaglia. L'avidità muove i fili della vicenda, ed è proprio l'avidità il minimo comun denominatore, come ho accennato sopra della malavita e del grande capitale, che rende i due fenomeni facce diverse della stessa medaglia.

In questo risiede l'aspetto critico e polemico del film aspetto che in qualche modo Di Leo approfondirà proprio nell'ultimo capitolo della trilogia).

In questo primo capitolo conta molto anche la stessa ICONOGRAFIA POLAR (POLIZIESCO-NOIR). Al contempo quell'ambiente è anche intriso di disperato romanticismo, di solitudine, di sottile alienazione, di fatalismo (tutto questo è bene impersonato proprio dalla figura del protagonista, da Ugo Piazza).

In un certo senso "Milano Calibro 9" è un film-snodo fra le due tendenze ed orientamenti del cinema di Di Leo: quello romantico-fatalista (sottilmente lirico e poetico) e la tendenza critico-polemica, questo film vede le due tendenze equilibrarsi e fondersi, prima di giungere ad un maggiore sviluppo della seconda tendenza.

Caratteristica che dona al film il suo fascino.


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