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LUCI DELLA CITTA' (1931)

2 Novembre 2022


Francesco De Maria



"Luci della Città", uscito il 30 Gennaio 1931 è senza alcun dubbio uno dei capolavori di Charlie Chaplin (1889-1977). Un film, che, alla sua uscita, nei primi anni Trenta risultò già in contro-tendenza.

In contro-tendenza perchè già dal 1927 nel cinema Americano veniva progressivamente introdotto il sonoro (che comunque prese davvero piede fra il 1929 e il 1930). Chaplin volle rimanere fedele al muto, sia in questo film del 1931 che fatto ancora più impressionante nel film seguente, "Tempi Moderni", del 1936.

Il film, interpretato, come sempre dallo stesso Chaplin (anche in questo caso nel ruolo di un vagabondo) narra della storia dell'incontro fra il senzatetto ed una giovane fioraia cieca, e dell'amore che sboccia fra i due: lei per un equivoco lo crede un uomo ricco, lui si prodiga per trovare il denaro necessario a farla guarire dalla cecità.

Nell'ultima sequenza del film, la ragazza ha ripreso a fare la fioraia (dopo essere stata in Europa per sottoporsi all'operazione che le ha fatto riacquistare la vista), si imbatte nel vagabondo, si guardano e si parlano per un attimo, fino a che lei capisce chi ha di fronte; glielo chiede ed il vagabondo annuisce commosso, come a dire: "sì, sono io, hai capito". Una sequenza commovente, dall'alto pathos morale ed emotivo, una vetta cinematografica e scenica.

Parallelamente, nel corso del film assistiamo anche a varie peripezie del vagabondo, come quella (la quale assume un importanza particolare) dell'incontro e dell'amicizia con un milionario alcoolizzato il quale tenta di suicidarsi.

Il vagabondo lo salva, e viene riaccompagnato a casa dal vagabondo, da quel momento nasce una sorta di amicizia, ma un'amicizia ben strana, un'AMICIZIA ROVESCIATA, per così dire.

Il milionario riconosce il vagabondo, e lo riconosce come amico soltanto da ubriaco, da sobrio avviene esattamente il contrario, lo respinge e lo tratta con ostilità o indifferenza.

Ecco, io credo che "Luci della Città" presenti, per così dire una natura ancipite, una natura sentimentale (la storia stessa fra il vagabondo e la fioraia è lì a dimostrarcelo) ma dall'alto pathos morale (i sacrifici stessi del vagabondo per aiutare la ragazza, il carattere puro e nobile del sentimento, etc) ed una natura critica e satirica non indifferente. Tale apparente polarità sostanzia moltissimo cinema chapliniano.

L'amicizia rovesciata, come ho scritto sopra, è lì a testimoniare l'esistenza di una REALTA' ROVESCIATA, DI UNA REALTA' ALIENATA, DI UNA SOCIETA' INGIUSTA E SBAGLIATA.

Solo uno stato alterato (l'ubriachezza, in questo caso) riconnette le due persone, appartenenti a classi sociali così distanti: il sottoproletario vagabondo e l'alto borghese.

Nello stato alterato (ed in quanto tale, fuggevole, transitorio) i rapporti e le relazioni rovesciate di segno vengono rimesse in piedi. Nello stato naturale (e che naturale non è) le gerarchie vengono ripristinate, perchè questo tornare in sè del milionario significa semplicemente tornare ai propri freni inibitori e ripiombare entro la propria GABBIA MENTALE, UMANA, SOCIALE di uomo ricco che disdegna i poveri, i derelitti, gli sfruttati. Un ritorno della repressione (in tutti i sensi) in grande stile, per così dire.

Anche un auto-repressione, un ritorno ad un MORTUARIO ED ARIDO PRINCIPIO DI REALTA', AD UN REALISMO CINICO E DISUMANO.

Il vagabondo è l'incarnazione della libertà, egli sprigiona in qualche modo un principio di piacere svincolato da regole e gerarchie. Le stesse scene e sequenze dei due insieme sono lì a dimostrarcelo: assumono talvolta i contorni di una sarabanda, di momenti comici e gioiosi al contempo.

Il film, come ho scritto in apertura di questo articolo è muto, ma presenta, nelle prime scene (quella dell'inaugurazione del monumento, il quale scoperto mostra il vagabondo addormentato, mettendo in crisi quel rituale di gente ricca e potente) tutta la carica satirica, critica e polemica che attraversa l'intero film.

Sia perchè con la sua sola presenza il vagabondo sembra mettere in crisi l'ordine costituito e lo status quo, sia perchè vi è un impiego (limitato a quelle scene, appunto) deforme e deformante del sonoro: i ricchi parlano emettendo dei suoni abbozzati, grotteschi. Da un lato Chaplin sembra voler ridicolizzare lo stesso sonoro (che egli guardò con ostilità, almeno fino a tutta la metà degli anni Trenta) ma soprattutto attraverso quell'impiego insolito, straniante e deforme del sonoro compie un attacco a tutto quel mondo.

Queste linee di fondo rendono il film un capolavoro non solo di Chaplin, ma dell'intera storia del Cinema.


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