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LA BATTAGLIA DI ALGERI (1966)

1 Gennaio 2025


Francesco De Maria



Molto Cinema Italiano è stato una diretta filiazione di quel fenomeno denominato Neorealismo (il quale non dimentichiamolo coinvolge il Cinema ma anche la Letteratura), la lezione Neorealista, infatti, si disperde,per così dire in molti rivoli creativi, fra i quali compare anche il cosidetto Cinema Civile, di impegno politico e sociale con nomi quali Francesco Rosi, Damiano Damiani, Elio Petri, e appunto Gillo Pontecorvo (1919-2006) autore di questo "La Battaglia di Algeri" presentato in anteprima al festival di Venezia il 31 Agosto 1966.

Film dall'afflato non solo politico, ma anche più strettamente storico, dal momento che il regista ricostruisce con rigore tutti gli eventi della battaglia di Algeri, evento importante all'interno della lotta di liberazione algerina contro il giogo coloniale francese la quale a sua volta si inscrive nel più generale sommovimento dei popoli del Terzo Mondo in cerca di un riscatto politico, sociale, umano e civile.

La battaglia di Algeri (costituita da una serie di attacchi contro la burocrazia ed i coloni Francesi, i cosiddetti "pieds noirs") fu pianificata ed organizzata nella casbah della città (l'antico nucleo Arabo) la quale si fa SPAZIO FISICO E SIMBOLICO DI UNA LIBERAZIONE E DI UNA RICONQUISTA DI DIGNITA'.

Uno degli elementi che rivelano la filiazione Neorealista della pellicola è proprio l'utilizzo di attori non professionisti (salvo il francese Jean Martin nel ruolo del colonnello dei paracadutisti), ad esempio uno dei capi dell'organizzazione della città di Algeri, Saari Kader, fu interpretato da Yacef Saadi, politico e rivoluzionario algerino, oppure il giovane Alì La Pointe interpretato dal contadino analfabeta Brahim Haggiag.

"La Battaglia di Algeri" è anche un esempio di Cinema della realtà (anche se, come sottolineo sempre, in tutte le arti e a maggior ragione nel Cinema la nozione di "realismo" è assai problematica e sfuggente), perchè si tratta di un film dallo stile secco, cronachistico, semi-documentaristico.

Un film scandito da date, orari precisi, come a voler creare un RITMO DELLA RIVOLUZIONE ed un senso alto e solenne di "fatalità rivoluzionaria".

Nel film non c'è un vero e proprio protagonista, poichè si struttura in maniera corale: protagonista è la casbah di Algeri, l'intera città, l'intera nazione in lotta per l'affrancamento dal giogo coloniale e per la creazione di una società giusta e libera.

Quindi bisogna sempre tenere presente questa STRUTTURA E QUESTO ANDAMENTO CORALE del film il quale, al contempo si impernia su un personaggio, poichè si seguono le vicende del giovane criminale Alì La Pointe il quale, ad un certo punto, all'inizio del film viene reclutato dagli uomini del FLN (il Fronte di Liberazione Algerino) fino a diventare un indefesso rivoluzionario, il quale troverà la morte propruio alla fine del film.

Ma la scelta non è affatto casuale. il regista non sceglie, tra l'altro, un personaggio eroico, ma un giovane di umile estrazione, dalla vita precaria e criminale, in questo senso bene trapela il carattere umanistico del film, e la volontà ideologica eculturale da parte del regista di schierarsi sempre con gli ultimi.

QUESTA DIMENSIONE CORALE (A MIO AVVISO PREPONDERANTE) E QUESTA DIMENSIONE INDIVIDUALE SI INTRECCIANO, DIALOGANDO COSTANTEMENTE.

Tale afflato documentaristico, inoltre, fa sì che il film sia estraneo a qualsivoglia empito spettacolare (o sentimentale ed effettistico), mostrandoci quindi tutto il rigore formale, stilistico e di conseguenza, in questo caso, anche tutto il rigore politico e sociale dell'opera.

Lo stesso bianco e nero dona notevole forza espressiva al film, così come la fotografia sgranata (soprattutto in alcune scene e sequenze) sugggerendo talora quasi l'idea di un'OPERA NEL SUO FARSI, NEL SUO DIVENIRE.

Anche perchè il bianco e nero del film si avvicina (ovviamente il tutto è frutto di una consapevole scelta formale e stilistica da parte del regista e del direttore della fotografia, Marcello Gatti) a quello dei cinegiornali di attualità.

Quindi alla luce di queste caratteristiche io non esito a definire "La Battaglia di Algeri" un film politico, nel senso più alto e migliore del termine, film politico non solo per quello che rappresenta (questo sarebbe in una certa misura scontato) ma anche per COME RAPPRESENTA la lotta di un intero popolo e per le scelte formali, stilistiche e rappresentative (la dimensione corale) che stanno alla base dell'organizzazione e dello strutturarsi del film.

In un certo senso lo stile, la forma si fanno contenuto, si fanno parte integrante della spinta politica progressista del film: ed è per uqesto che ci troviamo di fronte ad un'opera cinematografica maestosa ed irrinunciabile.




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