IMPIEGATI (1985)
- Francesco De Maria
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1 Settembre 2025
Francesco De Maria

Il cinema di Pupi Avati (1938) può essere suddiviso in alcune linee o tendenze di fondo: la tendenza grottesca (identificabile soprattutto nella prima fase del suo cinema) quella fiabesca, quella più propriamente orrorifica, e quella memoriale.
Spesso tali orientamenti si intrecciano in maniera specifica in ogni suo singolo film, andando così a comporre, opera dopo opera, un quadro filmografico articolato, composito e fascinoso.
Ecco, nel corso degli anni Ottanta si manifesta, nel cinema Avatiano anche una tendenza che potremmo definire, in senso lato, di critica sociale e ancor prima antropologica.
Possiamo rinvenire esempi di questa tendenza, ad esempio, nel notevole "Regalo di Natale" del 1986, o, appunto in questo "Impiegati", uscito il 23 Febbraio 1985.
Film su un giovane di Modena il quale si trasferisce a Bologna per andare a lavorare come impiegato in una grande ditta, toccando pian piano con mano tutti i risvolti di meschinitò, arrivismo e squallore di quell'ambiente.
Il Cinema, come tutte le altre arti possiede una notevole capacità di svelare la menzogna, di mettere a fuoco l'inautentico, di porre in questione l'esistente.
Gli anni Ottanta, in Italia, e non solo in Italia sono stati un decennio improntato al più basso materialismo, all'arrivismo, al carrierismo, al culto del denaro e dello status symbol.
Ed è su tutto questo che "Impiegati" si incunea, restituendoci un'immagine impietosa, amara, a tratti drammatica del mondo impiegatizio, soprattutto di metà anni Ottanta.
Intanto c'è da porre in risalto il fatto che questo film possiede radici lunghe nel Cinema Italiano, infatti Pupi Avati in più interviste ha ribadito di come il suo "Impiegati" fosse una sorta di rilettura de "Il Posto" di Ermanno Olmi, del 1961.
Solo che nel film di Olmi (molto bello) si pone attenzione all'incontro scontro di un giovanissimo provinciale con la realtà lavorativa nella grande città (Milano) in pieno boom economico, tant'è vero che potremmo considerare "Il Posto" anche uno studio ambientale ed esistenziale sul miracolo economico, mentre invece il film di Avati si confronta proprio con la realtà impiegatizia e piccolo-borghese dall'interno.
Certo, è importante sottolineare, comunque, che nello stesso film di Olmi si evidenziano giù alcune miserie di quell'ambiente lavorativo, ma tutto questo si amplifica, si rafforza, nel film avatiano, e tutto assume una piega più amara e cupa.
Ecco, il film fu molto elogiato dalla critica alla sua uscita, /la quale riconobbe anche ad Avati un certo stile, quello che potrei dire è che in quest'opera il regista stempera di molto, fin quasi ad annullare quell'inclinazione "memoriale", soffusa, più "indiretta", per giungere ad una rappresentazione, per molti versi, più diretta e secca di una certa realtà.
Punto di forza del film consiste nel fatto che (tranne il protagonista, il quale rimane, in una certa misura osservatore e testimone della vicenda) quasi tutti i personaggi sono negativi.
Per me "Impiegati", se guardato in filigrana può essere considerato anche un film sull'alienazione, individuale e di gruppo. I personaggi sono spossessati, non hannouna vera identità, sono ridotti a maschere, a funzioni sociali.
Non possiedono una vera individualità: l'unico modo per differenziarsi è competere, raggiungere prima degli altri una certa agiatezza e certi vantaggi economici.
Qualcuno ha definito egregiamente la vicenda narrata nel film: una "tragedia della mediocrità", ed in questo senso ci si potrebbe ricollegare a quello che ho scritto sopra.
Il vuoto di valori è rappresentato benissimo in "Impiegati". Altra caratteristica importante, da porre in evidenza, consiste nel fatto che davvero il film può essere visto come una sorta di "romanzo di formazione": il protagonista, Luigi, riesce a rimanere se stesso, vale a dire a non svendersi, ma al contempo cambia, si trasforma, proprio perchè matura nel toccare con mano quella realtà, addentrandosi nel baratro di una realtà impiegatizia cinica, meschina, senz'anima.
Non bisogna pensare che un film come "Impiegati" sia anomalo all'interno della filmografia di Pupi Avati, tutt'altro, fa parte di tutta una linea del suo cinema, la linea critica, per così dire, e comunque Avati molto spesso riesce a realizzare un Cinema per certi versi "cattivo", "cinico", amaro, cupo, proprio nel rappresentare criticamente quella che si potrebbe definire la mediocrità e la meschinità umane, soprattutto di un certo ambiente sociale. Questo non vale, infatti, anche per film come "Regalo di Natale" o "Festa di Laurea"?
Ecco, "Impiegati" forse è un film parzialmente misconosciuto, ma degno di essere recuperato, in virtù della sua forza critica e della sua "scrittura" registica.
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