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IL LADRO DI BAMBINI (1992)

1 Luglio 2022


Francesco De Maria



Incominciamo con l'affermare che "Il Ladro di Bambini" di Gianni Amelio (1945), film uscito il 10 Aprile 1992 è opera magnificente, un caposaldo nella storia del Cinema Italiano, e non solo Italiano.

Nonostante sia un regista altamente considerato, io credo anche che Amelio non sia comunque citato a sufficienza, non sia comunque omaggiato quanto dovrebbe.

Stiamo parlando di un regista cinefilo e cinematograficamente preparatissimo, un regista che si nutre di Cinema, che crea infaticabilmente Cinema attraverso il Cinema.

Ed il suo Cinema nonostante un'apparente semplicità (come può apparire ad occhi distratti questo film del 1992) è invero complesso, articolato, stratificato, sottile.

"Il Ladro di Bambini" è una sorta di Romanzo di Formazione cinematografico: un giovane carabiniere di Reggio Calabria, ma di stanza a Milano (interpretato da Enrico Lo Verso) deve "tradurre" due bambini siciliani (fratello e sorella) da Milano (dove vivevano con la madre) in un istituto della Sicilia, a seguito, appunto dell'arresto della madre, la quale faceva prostituire la bambina. Figura paterna del tutto assente.

Il viaggio si dipana da Nord a Sud, dunque, attraverso un'ITALIA DESERTIFICATA SOTTO IL PROFILO CIVILE E MORALE.

Il film si apre fra i casermoni di una grigia ed anonima periferia milanese, per proseguire poi in una Roma non accogliente, in un Sud accecato dal sole, in una periferia di Reggio Calabria (pensiamo alle scene quindi ambientate proprio nella casa-ristorante della famiglia del giovane carabiniere) segnata dal degrado, dall'abusivismo edilizio, dalla corruzione e per proseguire in una Sicilia Sud-Orientale bellissima, ma deturpata (la cattedrale di Noto, il lungomare di Vittoria) per arrivare, infine, proprio nelle scene finali in una notturna Gela. Il film si chiuderà in modo un poco enigmatico proprio in una livida alba, a Gela, in attesa di tradurre i due bambini nell'istituto che dovrà accoglierli. Ma la grettezza e rigidità burocratica vorrà vedere il giovane carabiniere come "ladro di bambini", appunto, per non avere avvertito il comando degli imprevisti accaduti durante il lungo viaggio e delle tappe effettuate durante quei tre giorni.

Egli, verosimilmente, dovrà subire un processo, e forse un'espulsione dall'arma dei carabinieri.

E pensiamo, a tale riguardo alla bellissima scena della lavata di capo del maresciallo ai danni del giovane carabiniere, il maresciallo viene espulso dal campo visivo E' SOLO UNA VOCE: LA VOCE DI UN GRETTO AUTORITARISMO.

Gretto autoritarismo incapace di cogliere il bellissimo lato umano della vicenda, la sempre maggiore fiducia che si sviluppa fra Antonio (questo il nome del carabiniere) ed i due bambini, la capacità che Antonio APPRENDE DI SINTONIZZARSI CON LA PSICHE, L'INTERIORITA' DEI DUE BAMBINI, ED IL LORO DRAMMA UMANO. Tant'è vero che il bambino prenderà pian piano a modello il giovane carabiniere, come una sorta di sostituto della figura paterna assente.

E come è stato giustamente sottolineato nel corso del film, fra i tre, si crea davvero una sorta di cellula sociale alternativa, di famiglia nuova e diversa.

E la rappresentazione della giustizia che funziona al contrario (assente nel caso di corruzione ed abusivismo) ben presente, arcigna e severa nel caso del "sequestro" del giovane carabiniere colpisce duramente, va a segno.

Come ho scritto sopra, molto importante è il lavoro che il regista COMPIE SULLE AMBIENTAZONI, SUGLI SCENARI, SULL'AMBIENTE CHE RIMANDA A QUALCOSA DI OLTRE: IL DEGRADO MATERIALE COME CORRELATO OGGETTIVO DEL DEGRADO MORALE E CIVILE.

Un altro elemento che colpisce molto di questo film è la RUMORISTICA: MOLTO SPESSO I RUMORI, I SUONI, LA DIMENSIONE SONORA VENGONO AMPLIFICATI, SI CREA UN SOTTOFONDO CONTINUO, CHE SVOLGE UNA FUNZIONE CONTRASTIVA RISPETTO AI SILENZI DEL RAPPORTO CHE SI CEMENTA FRA I TRE PERSONAGGI.

Il silenzio è d'oro, verrebbe da dire. Il film è così pregnante da un punto di vista visivo che pur essendo fortemente strutturato, riesce anche a vivere di scene e sequenze autonome, che assurgono a significati enigmatici e paradigmatici al contempo (e penso soprattutto alla bellissima scena al mare, quando Antonio insegna al bambino a nuotare).

Per chiudere: in qualche modo "Il Ladro di Bambini" appartiene alla temperie Neo-Neo-Realista di certo Cinema Italiano di fine anni Ottanta e primi anni Novanta (e pensiamo ai due bei film di Marco Risi, ad esempio, come "Mery per Sempre" e "Ragazzi Fuori") ed è come se Gianni Amelio ne avesse voluto rinnovare i fasti e lo sguardo.

Operazione pienamente riuscita.


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