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IL GATTO NERO (1934)

26 Luglio 2021


Francesco De Maria



Edgar Ulmer (1904-1972) è stato sicuramente il grande genio incompreso del cinema americano, proprio perchè alla sua epoca relegato nei bassifondi cinematografici, nel cinema povero, a basso o bassissimo costo, di serie B, ed effettivamente egli lavorò per le cosiddette case cinematografiche Poverty Row: anche se questo "Il Gatto Nero", uscito il 3 Maggio 1934 fu prodotto dalla Universal.

Eppure Edgar Ulmer fu un autentico artista cinematografico il quale seppe fare di necessità virtù, ovviando ai budget ridotti con soluzioni formali e stilistiche molto spesso geniali e comunque fortemente originali.

Ulmer fu un altro esule ebreo europeo in terra americana, e che portò con sè suggestioni visive di tipo espressionistico (e non è un caso che oggi come oggi viene ricordato nelle storie del Cinema soprattutto come regista di Noir).

Ad ogni modo seppe intessere un interessante discorso cinematografico anche nel campo dell'Horror, come dimostra ampiamente questo "Il Gatto Nero".

Il cinema ulmeriano è sempre stato un CINEMA SOMMERSO, PER NIENTE "UFFICIALE", MOLTO SPESSO POVERO, e non è un caso che egli viene ricordato anche come il "regista delle minoranze": film realizzati ad Hollywood ma girato nelle rispettive lingue all'interno di varie comunità, come quella ucraina o yiddish, ma anche quella afro-americana girata nello slang tipico dei neri.

L'acme creativo Ulmer lo raggiunse proprio negli anni Trenta e Quaranta, ma fu rivalutato ampiamente dalla critica cinematografica più avveduta e consapevole soltanto nella seconda metà degli anni Cinquanta, ad esempio con un articolo di Francois Truffaut del 1956, il quale evidenziò tutto la carica innovativa dell'opera ulmeriana, poi sempre in Francia il lavoro di rivalutazione continuò ad opera di Bertrand Tavernier, ad esempio per proseguire in America (ma siamo già negli anni Settanta) con alcuni interventi critici di Peter Bogdanovich.

"Il Gatto Nero" è liberamente tratto dall'omonimo racconto di Edgar Allan Poe, dove una giovane coppia in viaggio di nozze cade nelle grinfie di un sinistro personaggio vittime del suo potere medianico, ed i due giovani sposi sono rinchiusi in una villa: verranno liberati da un acerrimo nemico di quel sinistro personaggio. Il film vede recitare insieme Boris Karloff e Bela Lugosi, due attori-simbolo della Universal anni Trenta.

Il film è riconosciuto come uno dei prototipi dell' horror psicologico, dal momento che assumono una notevole importanza sia una certa introspezione psicologica, ma ancora di più l'ATTENZIONE FORMALE E STILISTICA CHE ULMER RIPONE NELL'ASPETTO AUDIO-VISIVO DEL FILM, ciò che conta moltissimo nel film sono proprio le atmosfere, ma anche i suoni, i rumori, e lo stesso scavo psicologico di emozioni quali la paura, il terrore, l'inquietudine.

Questo è quello che davvero conta per Ulmer, rifuggendo quindi da facili sensazionalismi ed effettismi, realizzando così un'opera cinematografica dai forti connotati "avanguardistici" e "sperimentali".

Molto interessante lo stesso impiego della musica classica ( Cajkovskij, Chopin, Liszt). Il film si MUOVE NEGLI SPAZI INNEFABILI DEL PURO VISIBILE, NEGLI SPAZI DELL'IMMAGINE E DEL SUONO, ed è evidente che una critica cinematografica miope all'uscita del film criticò l'opera per i dialoghi o per la trama, senza saper riconoscere la grande CARATURA AUDIO-VISIVA DEL FILM.

Tutto questo è immesso, mi viene da dire gettato all'interno di uno spazio scenografica avanguardistico e bizzarro, in una villa dalla struttura modernissima, dagli ambienti razionali e squadrati.

La SCENOGRAFIA OPERA DA CONTRASTO ACCELERATORE, DA FERTILE CORTO CIRCUITO DA INCUBO OCCULTISTA E RAZIONALE.

Quello che colpisce è proprio questa sorta di "fertile" contrasto così come la vicenda da incubo gotico, ma anche il controllo raziocinante che si respira negli spazi ultra-moderni della villa. Il film è eccezionale anche in questo, sembra davvero preannunciare con quasi quaranta anni di anticipo un certo discorso cinematografico e culturale che effettueranno alcuni registi di genere italiani, fra cui Corrado Farina con il suo bello "Hanno Cambiato Faccia" del 1971. Immissione nella modernità, appunto.

Ma la contempo la scenografia risente anche della lezione espressionista proprio in un certo carattere irregolare e sghembo. A mio avviso sono queste le caratteristiche salienti a rendere "Il Gatto Nero" un film bello e importante, meritevole della riscoperta critica ottenuta.



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