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IL GATTO A NOVE CODE (1971)

11 Dicembre 2020



Nonostante il giudizio non del tutto positivo dello stesso Dario Argento (1940) per questo suo secondo film, io lo considero (ma non solo io, anche una buona parte della comunità cinefila, dei critici cinematografici più avveduti, e lo stesso pubblico, almeno quello più attento) un film davvero buono, anche se, a tutti gli effetti non alla pari, per quanto mi riguarda, nè con il suo esordio del 1970, vale a dire "L'Uccello dalle Piume di Cristallo", nè, sopratutto con le magnificenti opere del 1975-1977, vale a dire "Profondo Rosso" e "Suspiria". Uscito il 12 Febbraio 1971, ebbe un buon riscontro di pubblico, ma non così tanto dal punto di vista della critica, la quale spesso ottusa e convenzionale (non era tutta così, ovviamente) non riuscì a ravvedere nel giovane regista trentunenne lo spessore cinematografico dei suoi film uniti a notevoli spunti visionari e di incubo. Quella critica era ancorata ad una nozione tanto falsa quanto piatta di "realismo"."Il Gatto a Nove Code" è ovviamente un film thriller (senza ancora assumere quella curvatura horror che assumerà invece "Profondo Rosso") in cui un assassino uccide varie persone legate in un modo o nell'altro ad un istituto di ricerche genetiche, sulle sue tracce si metteranno un giovane giornalista aiutato da un enigmista cieco (un sempre ottimo Karl Malden). Il film è girato ed ambientato a Torino, città molto cara a Dario Argento il quale sa bene inquadrarla, mostrandone tutti i latenti (o meno) aspetti perturbanti, cupi, inquietanti. Questa operazione già riesce con questo film del 1971, anche se si tratta di una città ancora ripresa in un modo per così dire più "neutro", meno virato in incubo, rispetto a come avverrà dopo, e penso di nuovo a "Profondo Rosso" o anche al molto più tardo "Nonhosonno", del 2001. Si tratta più di un giallo classico, ma alcune scene (come quella dell'omicidio di Bianca Merusi, nel suo appartamento) la stessa costruzione della suspense, i movimenti della cinepresa attraverso i corridoi già prefigurano quel cinema non più thriller, bensì Thriller-Horror tipico di Dario Argento.

Comunque questa caratteristica distingue il film anche dall'esordio argentiano del 1970, dove la componente di "incubo" era maggiore. Ne "Il Gatto a Nove Code" siamo davvero alle prese con un film più asciutto, stringato ed essenziale, con venatura quasi da film poliziesco. La stessa Torino talvolta viene inquadrata e ripresa in un'ottica quasi più da Gangster Film. Ma tutto questo non deve farci dimenticare le caratteristiche precipue del film.

Ed è proprio tutto questo a rendere il film un'opera composita, stranamente ibrida la quale si configura come CROCEVIA DI GENERI E SOTTO-GENERI. La scena del cimitero, ad esempio assume tonalità quasi horror. Il giallo secco ed asciutto funge piuttosto da baricentro nel film, con incursioni sia nel film poliziesco o di azione (gli stessi inseguimenti in macchina, la figura del ladro), sia nel neonato thriller-horror (il già citato omicidio nell'appartamento) che l'Horror (la scena del cimitero).

Il rigore per così dire, del giallo tradizionale confligge poi con un aspetto latente del film, il quale viene SLATENTIZZATO MEDIANTE QUEI PRIMISSIMI PIANI DELL'IRIDE DELL'OCCHIO, ACCOMPAGNATI DALLA MUSICA ANGOSCIANTE DI ENNIO MORRICONE. Su questo dettaglio del film non tutti si sono soffermati, ma a mio avviso ne rappresenta un po' il RIMOSSO DA INCUBO, poi rifagocitato dalla primaria struttura da "giallo classico". Ed ecco, ripeto, perchè considero "Il Gatto a Nove Code" un film almeno parzialmente sottovalutato, un film molto più articolato, complesso e stratificato di come ad una prima (e magari non solo ad una prima) visione possa sembrare.

In alcuni articoli ho trovato anche notevoli parallelismi fra la sequenza del furto all'istituto di genetica, ed una certa Video-Arte: questo è un dato molto interessante. E comunque esiste tutto un Cinema che con la Video-Arte dialoga strettamente (certo David Lynch, Tsai Ming Liang, etc.). Sicuramente il parallelismo è suggestivo e può aprite nuove piste interpretative riguardo a questo film. Volendo si può dire che i primissimi piani da me sopra citati dell'occhio assumono una valenza sperimentale, magari da Cinema Underground (che non dimentichiamo, in quel torno di tempo andava comunque per la maggiore), e mi sto riferendo alla seconda metà degli anni Sessanta e primi anni Settanta, sopratutto.

Spero di essere riuscito a comunicare la nascosta complessità ed anche l'ambiguità e l'ambivalenza di questo film argentiano, troppo spesso non considerato abbastanza, proprio sotto questo profilo.

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