IL CONFORMISTA (1970)
2 Dicembre 2020
"Il Conformista" di Bernardo Bertolucci (1941-2018), presentato in anteprima al Festival di Berlino il 1 Luglio 1970 rimane sicuramente uno dei film più importanti e significativi del compianto regista parmigiano.
Il film è tratto dall'omonimo romanzo di Alberto Moravia. Bernardo Bertolucci è stato il più "francese" fra i registi del nostro cinema, quello che più ha attinto dalla lezione della Nouvelle Vague francese e che ancora di più ha voluto emulare colui che egli considerava il proprio maestro: Jean Luc Godard.
Declinazioni e stilemi Nouvelle Vague erano già ben presenti, manifestandosi appieno nel notevolissimo suo secondo film "Prima della Rivoluzione", del 1964. Ed anche questo film del 1970, dunque, risente molto di quell'orientamento cinematografico. Ne "Il Conformista" sono presenti anche alcuni vezzi cinefili, fra cui il numero di telefono del professore che corrisponde esattamente al numero telefonico di Godard. Il film vede un ottimo Jean Louis Trintignant il quale decide di compiere una missione (un omicidio ai danni del suo ex professore di università, anti-fascista ed esule in Francia) per conto dell'OVRA vale a dire i servizi segreti fascisti. L'incontro con la giovane compagna del suo vecchio professore farà vacillare la sua determinazione nel portare a compimento la missione. Un "film sul fascismo", dunque, in qualche modo. Ma sicuramente non un film politico o di impegno civile come se ne realizzavano molti in Italia proprio in quegli anni (sopratutto alla fine degli anni Sessanta-primi anni Settanta).
L'adesione del protagonista al fascismo è motivata da suoi moti interiori, dal suo retroterra psico-sociale, per così dire, dal suo bisogno di rigide certezze, in una parola dal CONFORMISMO VISTO PROPRIO COME MANIFESTAZIONE DEL PRINCIPIO AUTORITARIO, DELLA PERSONALITA' AUTORITARIA.
Quindi, assistiamo durante la visione del film ad una ricerca spasmodica, da parte del protagonista della normalità borghese, di uno spazio psichico ancor prima che sociale in cui muoversi, felicemente succube dell'autorità del "così si deve fare" e "così si deve essere".
Molto importante nel film (sopratutto nella prima parte, quella italiana) l'architettura fascista, il gigantismo architettonico fascista, così come notevole importanza la assume il silenzio glaciale delle foreste della Savoia nella seconda parte. La scenografia non funge solo da cornice ma diventa il correlativo visivo di stati d'animo, eventi, situazioni.
Poi, la descrizione dei personaggi è impietosa, tutti o quasi tutti sono mediocri, meschini. Molto importante poi la ricostruzione ambientale atta a generare l'idea di un'atmosfera politica, sociale, psicologica. Molto belli i fluidi movimenti di macchina (talora di per sè citazioni cinefile) come alcune carrellate che mi hanno fatto venire alla mente il cinema di Alain Resnais (e questo, ad essere più precisi era per esempio già presente in "Prima della Rivoluzione"). Ma d'altro canto "Il Conformista" è di per sè un film citazionista, come è stato giustamente evidenziato lo stesso apparato scenografico di epoca fascista si può vedere come una citazione della grande pittura metafisica di Giorgio De Chirico. Dal film emana una sensazione di fredda astrazione e di solitudine. Jean Louis Trintignant in questo film è un uomo profondamente solo, alla patologica ricerca di autoritarie certezze. D'altronde il retroterra psicologico patologico del protagonista è innegabile, questo lo si potrebbe considerare un tratto tipico del cinema di Bernardo Bertolucci se solo pensiamo ad un importante esempio (anche se declinato in maniera diversa) come il personaggio di Attila in "Novecento" del 1976, interpretato da Donald Sutherland. Il fascismo in qualche modo è generato da una psiche malata, sembra voler dire Bertolucci. Molto importante l'aspetto di "conflitto edipico" che attraverso l'intero film: il professore che il protagonista deve uccidere in un certo senso rappresenta Godard ed il suo cinema (pensiamo anche solo all'aspetto del numero telefonico identico) di cui il giovane Bertolucci deve sbarazzarsi, pur amandolo. E' come se il ventinovenne regista decidesse, proprio con questo film del 1970 di imboccare una strada pienamente autonoma, alla ricerca di una forma cinematografica del tutto inedita. Come montatore Bertolucci volle lo sperimentale ed avanguardista Franco Arcalli (e non Roberto Perpignani, come nei film precedenti) il quale concorse a conferire al film quel carattere narrativamente estremamente frantumato con uso dei flashback non lineare. Le falde di passato (per dirla con il filosofo Gilles Deleuze) compenetrano il presente del protagonista, ed i piani temporali si intrecciano in modo enigmatico.
Ed è proprio tutto questo che dona a questo film il suo carattere dirompente, la sua forza stilistica e di immagine.
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