GLI UOMINI CHE MASCALZONI (1932) E IL SIGNOR MAX (1937): DUE ESEMPI
12 Luglio 2021
Francesco De Maria
In questo mio articolo andrò a trattare di due film, di due ottimi esempi cinematografici di quella che era l'opera filmografica di uno dei nostri maggiori registi degli anni Trenta: Mario Camerini (1895-1981).
Camerini era considerato insieme ad Alessandro Blasetti il regista più significativo degli anni Trenta, e talvolta, in modo piuttosto ingiusto il suo cinema è stato appiattito sulla definizione riduttiva di "cinema dei telefoni bianchi".
Ora, tale definizione in qualche modo si attagli anche al cinema di Camerini, e quel tipo di cinema produsse film molto buoni, solo diciamo che una certa critica cinematografica, come al solito miope e un po' ottusa volle ravvedere in quel tipo di cinema un semplice spettacolo escapista e disimpegnato.
La questione è un po' più complessa ed articolata, e Camerini comunque era realizzatore di film anche molto personali e che abbattevano gli steccati di "genere".
"Gli Uomini che Mascalzoni" fu presentato al Festival di Venezia il 12 Agosto 1932, protagonista un giovane Vittorio De Sica e riscosse un grandissimo successo in Italia.
Sicuramente il film precorre la nascita del cinema dei telefoni bianchi (la quale viene situata intorno al 1935-1936): una commedia lieve e scanzonata ambientata all'interno di una realtà piccolo-borghese, quasi sempre dalle forti venature sentimentali.
Certo in questo tipo di cinema e più nello specifico in questo film cameriniano è presente una morale piccolo-borghese di fondo, ma a ben vedere quel NON RIFERIRSI MAI ALLA SOCIETA' FASCISTA PIU' CHE FACILE ESCAPISMO SEMBRA UN ESCAPISMO ALLA ROVESCIA, MAGARI UN LATENTE, CONFUSO E CONTRADDITTORIO SENTIMENTO DI RIFIUTO.
E poi tutto il cinema di Camerini nonostante rispettasse alcuni parametri, non ne rispettava altri, dialogando in una certa misura con il cinema di avanguardia europeo (cinema espressionista tedesco, cinema sovietico) proprio nella RAFFIGURAZIONE "MODERNISTA" DEL DINAMISMO DELLA VITA URBANA. Questo aspetto trapela in modo evidente proprio in "Gli Uomini che Mascalzoni", nel modo in cui viene messa in quadro ed in scena la città di Milano. E da questo ne consegue proprio un elemento importantissimo, vale a dire le riprese in esterni effettuate da Camerini, "Gli Uomini che Mascalzoni" non è un film girato nei teatri di posa, mostrando così UNA TENSIONE PRECORRITRICE DEL CINEMA NEO-REALISTA DI BEN 13 ANNI.
In questo senso il film vale anche come testimonianza culturale e sociale dell'Italia di quegli anni, ma più nel profondo, fra le pieghe della questione è presente, anche solo latentemente una concezione già diversa del cinema, del narrare e del rappresentare.
La seconda collaborazione fra Camerini e Vittorio De Sica avvenne cinque anni dopo, con "Il Signor Max", presentato sempre al Festival di Venezia il 29 Agosto 1937.
Quello che colpisce del film è la generale accuratezza formale, se solo pensiamo che costumista era Gino Carlo Sensani e scenografo Gastone Medin, entrambi collaboratori di lì a qualche anno di vari registi "calligrafisti".
"Il Signor Max" vede la coppia Vittorio De Sica-Assia Noris, quest'ultima poi moglie di Camerini.
Diciamo che in questo film il carattere sentimentale viene stemperato da un'ironia di fondo, è come se Camerini volesse dimostrare il carattere anche solo latentemente non pacificatorio ed evasivo del suo cinema, ed effettivamente attraverso tutto il film, sotto traccia, in filigrana, scorre una vena ironica la quale giunge quasi ad una distanziazione critica dalle vicende narrate.
Certo, il carattere romantico del film non viene messo in dubbio, questo è un dato molto importante di quest'opera, così come notevole importanza l'assume l'aspetto scenografico (in modo molto più marcato ed evidente rispetto al film di 5 anni prima), e si tratta proprio di una scenografia che si richiama all'Art Deco.
Ed infatti da più parti è stata proposta la definizione per il cinema dei telefoni bianchi (ed "Il Signor Max" fa pienamente parte di tale tendenza) di "Cinema Deco" proprio nel suo insistito richiamo a quell'orientamento artistico.
Bisogna sempre tenere presente come elemento essenziale l'ELEGANZA SCENOGRAFICA DEL FILM E DI TUTTO QUESTO TIPO DI CINEMA, CHE IN QUESTO SENSO PUO' FARSI ANTICIPATORE PIU' CHE DEL CINEMA NEO-REALISTA COME NEL CASO ESPOSTO SOPRA, DEL CINEMA CALLIGRAFISTA.
Questi due film costituiscono un'ottima testimonianza (per tacere del pur bello "I Grandi Magazzini" del 1939) della poetica cinematografica cameriniana, più inquieta e complessa di come molto spesso è stata tramandata.
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