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DELIRIA (1987)

1 Giugno 2022


Francesco De Maria



Michele Soavi (1957) esordì con questo interessante "Deliria", presentato in anteprima al Festival del Fantastico di Avoriaz nel Gennaio 1987.

In seguito questo regista (che pure ha presentato dei guizzi creativi assai interessanti, a cominciare proprio da questo film) è entrato nel tunnel della televisione. Ma, di contro, la libertà creativa si sprigiona da quest'opera. Un'opera a suo modo composita, articolata, se solo si pensa che il film solo parzialmente è di derivazione argentiana (e Soavi aveva anche recitato negli anni precedenti in alcuni film di Dario Argento), e sicuramente si è sempre sentito debitore nei riguardi del collega più anziano.

In "Deliria" il giovane regista compie, a mio avviso, un'operazione di incrocio: la derivazione argentiana, in certi movimenti della cinepresa, nella stessa costruzione della tensione si innesta sul tronco (aspetto questo, altamente significativo) dello Slasher.

In definitiva è come se Soavi avesse "americanizzato" la lezione argentiana, come se fosse andato a scuola da Dario Argento, ma abbia poi deciso di rimescolare le carte, guardando proficuamente a tutta una tendenza del Cinema Horror (o Thriller) americano.

I legami di "Deliria" con tutta la tradizione Splatter di oltre-oceano sono innegabili, il film (con tutte le dovute differenze, ovviamente) nello SCHEMA DI BASE MI RICORDA LA SERIE DI "VENERDì' 13": UN ASSASSINO SERIALE IMPERSCRUTABILE, INSPIEGABILE, CHE SI MUOVE SOTTO LA SPINTA QUASI MECCANICA AD UCCIDERE. UN PREDATORE RAPACE.

"Deliria" è un film anti-psicologico, anzi anti-psicologistico, ma non è un limite o una debolezza, perchè rappresenta un punto di vista preciso da parte del regista, una presa di posizione, un modo di guardare a questo genere cinematografico.

FILM PROFICUAMENTE SCHEMATICO, ESSENZIALE NELLA SUA STRINGATEZZA RAPPRESENTATIVA DI SANGUE, VIOLENZA, TERRORE E TENSIONE.

In questo film una compagnia teatrale che sta provando per uno spettacolo all'interno di uno stabile si trova vittima di un maniaco, che, fuggito dal manicomio (egli rappresenta davvero il puro Male insondabile) ucciderà tutti, tranne una sola persona, la Final Girl, appunto (altro archetipo importante in questo genere cinematografico) interpretato in questo film dall'attrice Barbara Cupisti (già presente in alcuni film argentiani, sempre negli anni Ottanta).

Bisogna anche tenere conto che "Deliria" è un film a basso costo, dal budget assai limitato, e di conseguenza Soavi riesce (come ogni ottimo regista di genere) a fare di necessità virtù.

Si tratta di un film che vive davvero di momenti forti, iconici, a cominciare proprio dal maniaco con indosso una maschera da barbagianni. La sua presenza sul palco, quasi alla fine del film, dove assiso sul trono accarezza un gatto che tiene sul grembo è quasi un'immagine meravigliosamente "blasfema": una sorta di Dio Animale Demente e Terrifico.

La derivazione argentiana del film risiede più che altro nell'uso creativo e molto mobile della cinepresa, la quale si fa essa stessa strumento di suspense e di tensione.

Il film, talvolta è stato tacciato di ripetitività: senza capire che in questo caso la stessa RIPETITIVITA' SI FA RAGION DI ESSERE DEL FILM, PRECISO PUNTO DI VISTA DA PARTE DEL REGISTA, PUNTO PROGRAMMATICO. Attraverso lo schematismo e la ripetitività si potenzia la costruzione della violenza, del sangue e della tensione.

In più, come è stato da più parti evidenziato il film risulta essere anche una riflessione sul rapporto verità/finzione, una riflessione sulla rappresentazione (in questo caso teatrale, dal momento che si parla di attori di teatro) con rimandi continui ed ambigui fra ciò che lo spettacolo teatrale inscena e ciò che accade realmente agli attori.

La stessa maschera del barbagianni costituisce IL SIMBOLO SUPREMO E TERRIFICANTE DI TUTTO QUESTO. Ho cercato dunque di mettere a punto quelle che per me sono le caratteristiche salienti di "Deliria", e di come sia stato un film, talvolta frainteso, o guardato solo esteriormente. per così dire. Invero trattasi di un film più articolato, complesso e composito di come a prima vista possa risultare, un film che rimescola le carte e che rilancia un proprio modo di essere e di rappresentare (e quindi un'idea di Cinema, da parte di Soavi).

Un film, a ben vedere anche meta-riflessivo, meta-cinematografico, nella misura in cui propone una riflessione sulla rappresentazione (teatrale, cinematografica, in questo caso poco importa).








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