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GERTRUD (1964)


"Gertrud" uscito il 18 Dicembre 1964 è l'ultimo film del sommo regista cinematografico danese Carl Theodor Dreyer (1889-1968), suo testamento cinematografico, estetico, spirituale.

Regista difficile, Dreyer, austero, rigoroso, ascetico vuoi nella messinscena e nello stile, vuoi proprio riguardo alla poetica, ai dilemmi morali che il suo cinema propone, all'inflessibile luteranesimo di fondo.

Egli, nel corso di tutto il suo opus cinematografico scandaglia con notevole forza espressiva la dimensione morale umana, i tormenti spirituali, l'amore e la morte (pensiamo anche solo al bellissimo "Vredens Dag", in Italia distribuito come "Dies Irae", del 1943, o a quello stupendo poema cinematografico che è "Ordet" del 1955).

Tale rigore e inflessibilità non permise mai a Dreyer un successo di pubblico ma egli è considerato presso i suoi colleghi come uno dei più grandi autori cinematografici in assoluto e la sua opera appassiona molto anche i cinefili e cultori di cinema.

"Gertrud" è un film danese (d'altronde Dreyer stesso era danese) ed il cinema scandinavo ci ha abituato a film rigorosi, austeri, dal forte afflato esistenziale e spirituale.

Ritratto di una donna dell'alta borghesia (Gertrud, appunto) la quale è sposata con un facoltoso avvocato il quale è in procinto di diventare ministro. Ma Gertrud non ama il marito (lasciandoci capire che il loro matrimonio è in uno stato di crisi perenne), ama un altro uomo, ma dopo una serie di decisioni sofferte (e solo alla fine del film) sceglie l'assoluta solitudine (ma consapevole di avere sempre amato), il ritiro dal mondo, in attesa della vecchiaia e della morte.

Film sul CARATTERE ASSOLUTO DELL'AMORE, SULLA SOLITUDINE COME SCELTA ESISTENZIALE, COME AMPLIFICAZIONE DEL SENTIMENTO AMOROSO.

"Gertrud" è un film "folle" (come ebbe a definirlo Jean Luc Godard) "folle" proprio perchè sempre, comunque ed irriducibilmente inattuale "scomodo", anche, nell'esaltazione della solitudine come scelta, nel ripiegamento introspettivo, nell'esaltazione del sentimento amoroso al di là del rapporto di coppia (o a maggior ragione del rapporto matrimoniale).

Valore molto profondo assume anche la SERENA ACCETTAZIONE DELLA VECCHIAIA E DELLA MORTE COME .

Anche in "Gertrud" in qualche modo Dreyer rimane fedele al suo stile (utilizzo del PianoSequenza e della Presa Diretta, ed al suo carattere antinaturalistico (sia per l'uso dei Flashback dal forte sapore onirico) sia per la recitazione straniata e straniante che dona all'intera vicenda un carattere sospeso, misterioso, sfuggente.

Gli spazi chiusi nel film sono la manifestazione oggettiva e materiale di una CHIUSURA SOCIALE ED UMANA, di un trionfo di arbitri e convenzioni dalla quale GERTRUD NE ESCE VITTORIOSA RIMANENDO FEDELE ALL'IDEA DELL'AMORE ASSOLUTO E DELLA SOLITUDINE (TORNA QUI IL DISCORSO DELLA "FOLLIA" E DELLA RIBELLIONE "INATTUALE").

Tale ribellione, a mio avviso, è anche una ribellione della Donna all'opprimente Potere Maschile, al Logos Maschile, alla ragione calcolante oppressiva.

Dreyer ha sempre prestato molta attenzione, d'altro canto alla figura femminile (e qui mi ritorna alla mente sempre "Vredens Dag") ai suoi tormenti, alle sue pulsioni nascoste.

Certo, poi sotteso al film c'è tutto un discorso riguardo alla tensione dell'essere umano verso l'Assoluto, dal momento che (fra le altre cose) il relativo, per così dire, nel film è rappresentato proprio dalle ottuse e rigide convenzioni sociali, l'Assoluto coincide con l'Amore in questo film forse proprio perchè a ricercare l'Assoluto è una donna.

Ecco, io credo che non bisogna assolutamente sottovalutare l'aspetto per così dire eversivo di questo film (e più in generale di un po' tutto il cinema di Dreyer, il quale, nonostante fosse un conservatore in politica, era un'artista assai inquieto, critico ed "irregolare").

Quindi, alla fine del film Gertrud vive della propria interiorità, la dimensione interiore, introspettiva, memoriale viene vista come un piano superiore dell'esistenza, uno spazio libero e liberato dove poter vivere in modo autentico. Non siamo alle prese con una chiusura narcisistica, tutt'altro: un ripiegamento interiore (o forse dovrei dire "interioristico") su di sè il quale risulta essere un'apertura esistenziale all'altro proprio nella misura in cui viene perseguito, ricercato e conservato il sentimento amoroso e la memoria del proprio passato.

Si capisce bene che a causa sia dello stile austero, delle scenografie "chiuse (giustamente è stato notato come gli stessi ambienti aperti del film risultino sembrare chiusi) della recitazione straniata e straniante e sia della radicale scelta esistenziale della protagonista (così sublime proprio nella sua sete di assoluto) rendono questo film insolitamente difficile, problematico proprio nel suo carattere inattuale e "folle".

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