top of page

IL PRIMO CINEMA DI PAUL SCHRADER: BLUE COLLAR(1978) E AMERICAN GIGOLO (1980)


Paul Schrader (1946) è uno dei registi (ma anche sceneggiatori) più significativi della New Hollywood. Una figura singolare proprio come uomo di Cinema), se solo pensiamo che non gli fu permesso di vedere film fino all'età di 18 anni, dal momento che la famiglia era strettamente religiosa e di impianto calvinista.

Tale impronta culturale, sofferta e tormentata, ispirerà (nemmeno tanto) sottotraccia moltissimi suoi film.

Andando via di casa a quell'età si sposta in California dove intraprende studi di Cinema all'università e si accosta alla critica, diventando uno studioso e teorico importante se solo pensiamo ai suoi studi sul Film Noir e sopratutto alla sua tesi di laurea ""Il trascendente nel cinema: Ozu, Bresson, Dreyer" pubblicata nel 1972.

Alla metà degli anni Settanta entra nel mondo del cinema prima come sceneggiatore (ad esempio è lui che firma la sceneggiatura di "Taxi Driver" di Martin Scorsese) per passare poi alla regia con "Blue Collar", appunto nel 1978.

Il cinema di Paul Schrader non è mai un cinema facile, siamo piuttosto alle prese con un cinema di rigoroso impianto formale, cupo, "nero", che narra di storie di Colpa, di Caduta, di Redenzione.

Un cinema, in senso stretto "esistenziale", ma anche un cinema "religioso" anche se non nel senso più stretto ed ovvio del termine.

Non a caso. come testimonia il suo saggio di laurea, registi cinematografici per lui imprenscindibili sono Robert Bresson e Carl Theodor Dreyer (il caso di Yasujiro Ozu rimane un po' appartato, in questo senso).

L'esordio registico avviene con "Blue Collar", appunto, uscito il 10 Febbraio 1978, film che si incentra sulle vicende di tre operai dell'industria automobilistica di Detroit che stanchi della loro vita fatta di ristrettezze decidono di rapinare l'ufficio sindacale, ma tutto va storto e nasceranno tensioni fra i tre.

Un film dalla trama semplice, ma attraversato interamente da un malessere esistenziale. Forse proprio la nozione di MALESSERE ESISTENZIALE INNERVA L'INTERO CINEMA DI SCHRADER.

Vi è, fatto abbastanza insoloito per il cinema americano una notevole descrizione della vita di fabbrica, della condizione operaia, del sottile senso di alienazione che pervade tale condizione. Certo , il campo si allarga, in questo film, fino a dipingere una realtà umana più generale, ma rimane LA DESCRIZIONE PRECISA ANCHE DI UNA CONDIZIONE SOCIALE, potrei definire "Blue Collar" come un film in cui si intrecciano il piano sociale e quello più generalmente esistenziale (o meglio esistenzialistico), addirittura metafisico, nel suo interrogarsi sul senso dell'esistenza, sulla colpa, sull'espiazione, e cosa molto importante sulla solitudine.

Da qualcuno è stato definito, e secondo me molto giustamente, il film-manifesto dell'intero cinema di Schrader, proprio per le caratteristiche da me evidenziate prima, anche se forse la forte caratterizzazione sociale viene meno nelle altre sue opere.

In questo film non ci sono sentimentalismi, non si propongono facili speranze, la stessa condizione operaia è vista come intrinsecamente alienata, e non si esce dal circolo vizioso. La traiettoria non può che essere di un falso movimento, di un falso progresso (anche solo materiale), questi tre operai non riescono ad uscire dalla loro condizione squallida.

Ho deciso di trattare in questo mio articolo anche di un altro film, il terzo vale a dire "American Gigolo" (il secondo, del 1979, è il bellissimo e disturbante "Hardcore").

Film molto famoso, "American Gigolo", iconico, se così si può dire, film su un gigolo (interpretato da Richard Gere) di alto bordo con relazioni alla high society di Los Angeles il quale intreccia una relazione sentimentale con una donna moglie di un politico in carriera, intanto, parallelamente egli è il primo sospettato di un omicidio.

Anche per "American Gigolo" (anzi a maggior ragione, rispetto a "Blue Collar" si può parlare di film esistenzialista) proprio nel porre il protagonista alle prese con il senso ultimo dell'esistenza e con una PRESA DI CONTATTO CON IL PROPRIO SE' PROFONDO. Il protagonista è indubbiamente per quasi tutto il film un personaggio fatuo, superficiale, narcisista, molto attento all'immagine, all'apparenza.

Proprio mediante una colpa non sua (ma comunque emblematica di un certo mondo di cui egli fa parte in modo connivente un mondo edonista, complice dal punto di vista morale quindi) in senso immediato e più evidente egli compie un cammino di espiazione, di presa di coscienza di sè, del proprio sè.

Un uomo, progressivamente sempre più in contatto con la propria Anima. Da un punto di vista "figurativo" il film deve molto, secondo me a Robert Bresson (e penso sopratutto al suo "Pickpocket" del 1959) proprio nell'uso degli spazi nello studio ambientale nella centralità che riveste l'appartamento, come luogo di solitudine.

Un dato molto importante, questo, poichè il protagonista è sostanzialmente un uomo solo, alle prese, dunque con il carattere sistenziale della solitudine.

E proprio l'amore, la vera apertura all'Altro, alla Donna, vista come Figura Salvifica che il protagonista cresce in senso animico. Sono d'accordo con chi ha evidenziato di come "American Gigolo" sia il film di Schrader che intrattiene i legami più forti con il cinema bressoniano, anche in certe inquadrature, in certi dettagli che singolarizzano le varie parti del corpo (la scena di sesso a letto).

Voglio dire, il richiamo a Bresson passa molto anche attraverso le inquadrature o l'uso di certi spazi.

Il protagonista quindi trascende sè stesso, uscendo dalle secche di un'esistenza vuota.

Due film, quindi, molto emblematici di tutto il cinema schraderiano.

bottom of page