IL COLLEZIONISTA (1965)
"Il Collezionista": siamo alle prese con un film teso, inquietante, claustrofobico. Presentato in anteprima al festival di Cannes il 12 Maggio 1965, realizzato in Inghilterra da William Wyler (1902-1981) esponente di spicco del Cinema Classico hollywoodiano e progenitore, insieme ad Orson Welles (anche se in modi e declinazioni diverse) della Profondità di Campo, è un 'opera di derivazione teatrale, un'opera che CINEMATOGRAFIZZA IL CARATTERE TEATRALE DELL'ASSUNTO DI BASE.
Film molto Wyleriano, ad ogni modo, "Il Collezionista" proprio nella cura della STRUTTURAZIONE DELL'INQUADRATURA, NELLA MESSA IN QUADRO, e nell'importanza che rivestono gli attori, i loro movimenti nello spazio e all'interno dell'inquadratura stessa.
Film che si regge, anche, in parte proprio sulla recitazione sulla presenza attoriale, a cominciare dall'ottima prova consegnataci da Ternce Stamp nella parte del giovane protagonista mentalmente disturbato e collezionista di farfalle, il quale rapisce e reclude una giovane da cui si sente morbosamente attratto in una vecchia villa di campagna, fuori Londra.
Il film è claustrofobico proprio in questo, nel rappresentare in spazi chiusi, appunto, quali quelli della villa, un rapporto conflittuale, un equilibrio precario e fragile di cacciatore e preda, di un collezionista di donne (ancor prima che di farfalle) alle prese con i propri demoni.
Film, in questo senso, che non concede sconti agli spettatori, disperato e disperante proprio nel suo carattere claustrofobico. CINEMA COME STUDIO DELL'ANIMA, CINEMA COME STUDIO DI RAPPORTI OBLIQUI ED IRREGOLARI.
Tutto questo è presente nel film di Wyler. Un film sull'irregolare dotato di un fascino irregolare. Quello che mi ha sempre colpito di "Il Collezionista" è il suo carattere freddo, gelido, asettico, sembra di essere quasi alle prese con uno studio naturalistico sul comportamento psicopatico, carattere freddo, che però, è il caso di dirlo sfuma in qualche modo nel melodramma.
Film, tra l'altro privo del tutto di violenza fisica, la violenza che si respira è una violenza sottile, morbosa, psicologica, la quale deriva da un forte disagio psichico.
Siamo alle prese anche con la REIFICAZIONE DELLA FIGURA FEMMINILE, CON L'ENTOMOLOGIZZAZIONE DELLA DONNA se così mi è concesso dire.
Certo, non conta tanto la storia in sè, quanto piuttosto come viene narrata, come viene messa in scena e messa in quadro. Film claustrofobico su un rapporto claustrofobico, film composto anche di contrasti, di relazioni contrastanti; la foto che ho postato in apertura dell'articolo è tratta da un fotogramma dei titoli di testa, laddove possiamo vedere in Campo Lungo il protagonista che rincorre con un retino delle farfalle in un campo. La solarità dell'ambiente è innegabile, così come la spaziosità, l'apparente allegria, etc. Bene, qulla spaziosità va a restringersi in modo abbastanza improvviso negli spazi della casa, film quindi anche sul gioco delle apparenze, su una luminosità ed un senso di libertà solo di facciata che stanno invece a testimoniare la PRIGIONE MENTALE IN CUI E' RINCHIUSO IL PROTAGONISTA.
Wyler, comunque, DIALETTIZZA, VALE A DIRE PONE IN RAPPORTO DIALETTICO GLI SPAZI; SPAZI APERTI E SPAZI CHIUSI PROPRIO A LIVELLO DI IMMAGINE E DI RESA ATMOSFERICA.
Ma, come abbiamo visto, aperto e chiuso vivono, nel corso del film un legame sottile e misterioso.
Il film è intessuto, dunque, sull'atmosfera claustrofobica. Altro aspetto importante del film sono i dialoghi letterari, i quali concorrono ad "innalzare" la vicenda ad elevarla dal rischio di trovarsi impelagata nelle secche di una vicenda sensazionalistica. La relazione psicologica fra i due personaggi assume, come è ovvio, notevole rilevanza.
Film che si impernia, naturalmente, anche sui dialoghi come manifestazione concreta del rapporto psicologico che prende forma nel corso della vicenda.
Quello che interessa a Wyler, con "Il Collezionista" è in definitiva proprio lo studio di uno spazio claustrofobico, di più: lo spazio chiuso si erge anche a spazio simbolico, a spazio cinematografico che ci mostra un rapporto di anime, una ragazza ferita nella propria dignità e libertà, un giovane alle prese con i propri tenebrosi fantasmi interiori.
Quello che colpisce del film, in ultima analisi, è anche la RESA SIMBOLICA DELLO SPAZIO CLAUSTROFOBICO, NON SOLTANTO IL SUO USO SCENICO.
Per tutti i motivi a cui ho accennato sopra, considero "Il Collezionista" non il miglior film di William Wyler (ce ne sono di più importanti, sicuramente, all'interno della sua opera filmografica) ma forse il suo più disturbante proprio nel suo carattere claustrofobico, enell'analisi e nello studio che svolge sopra la CATEGORIA DI "CLAUSTROFOBIA".