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IL RAGAZZO SELVAGGIO (1970)


"Il Ragazzo Selvaggio" è, probabilmente, il film più teorico di Francois Truffaut (1932-1984) qui anche attore protagonista. Proiettato per la prima volta il 26 Febbraio 1970, è un film che risente molto delle inquietudini culturali ed in senso lato politiche della fine degli anni Sessanta, da un lato, e dall'altro un film che, in senso molto lato e molto metaforico, esprime il senso ribellistico del cinema della Nouvelle Vague, di cui Truffaut, insieme a Jean Luc Godard (1930), Claude Chabrol (1930-2010) ed Eric Rohmer (1920-2010) era un esponente di spicco.

Questo film è tratto da una storia realmente accaduta in Francia, nel 1798, quella del dottor Jean Itard (interpretato dallo stesso Truffaut) uomo di scienza di formazione illuministica e del suo incontro con un ragazzo , selvaggio, e apparentemente ritardato (ma appunto, solo in apparenza) vissuto da sempre, solo, nelle foreste dell'Aveyron (una provincia storica francese). Film sull'educazione, sulla pedagogia, e sopratutto sul significato AMBIGUO E SOTTILMENTE COERCITIVO, IN ALCUNI CASI, DELL'EDUCAZIONE, FILM SUL "BUON SELVAGGIO", FILM SULLA NOSTALGIA DI UNA LIBERA VITA NATURALE.

Ma anche film sulla fiducia della parola, dell'incontro con l'Altro, con il "diverso", sulla crescita personale. Film dotato, quindi, in modo consapevole e programmatico, di una fertile ambivalenza, di un esprimersi su più piani, almeno apparentemente, contraddittori.

Un film molto truffautiano, vale a dire in linea con l'inclinazione del regista francese, proprio nel suo rifiuto di didatticismo e didascalismo, nel rifiuto della freddezza, nel suo porsi come oggetto cinematografico toccante e poetico (senza inutili facili sdolcinatezze). Da segnalare anche lo stupendo bianconero di Nestor Almendros (uno dei più importanti direttori della fotografia).

Film, ovviamente, dall'alto profilo formale e stilistico, ed alcuni movimenti della cinepresa sono molto belli. Un film, che nella sua ambivalenza, come ho scritto sopra, denota anche una notevole fiducia non tanto nella ragione illuministica, quanto piuttosto nell'incontro, nell'empatia, nella sensibilità.

Da questo punto di vista, non ci si poteva aspettare altro da un regista come Francois Truffaut.Regista che ci ha abituato da sempre ad un attenzione particolare rivolta al "diverso" (in tante manifestazioni diverse, e pensiamo anche al personaggio di Antoine Doinel ed al suo carattere un po'selvaggio e ribelle, sopratutto in quel bellissimo film di esordio del 1959 che è "I Quattrocento Colpi"), all'irregolare, al sognatore, etc.

Film, "Il Ragazzo Selvaggio" anche sul mito del buon selvaggio il quale mito viene comunque ridimensionato, riletto, re-interpretato. In questo senso "Il Ragazzo Selvaggio" si pone in sintonia con tutta la temperie culturale di quegli anni, proprio nel suo carattere teorico, riflessivo, critico.

Caratteristica fondamentale del film è anche il saper conciliare tale carattere riflessivo con una forte emotività di fondo. E' come se Truffaut con questo film abbia voluto far reincontrare tutti i ragazzi selvaggi del suo cinema, con una figura paterna buona ed autorevole.

FILM SUL LINGUAGGIO, SULLA NUOVA FONDAZIONE DEL LINGUAGGIO, SULLA VERGINITA' LINGUISTICA, SULLA PUREZZA VIRGINEA DEL CINEMA CHE RICOSTRUISCE UN EVENTO SIMILE.

"Il Ragazzo Selvaggio" ci dona una assoluta PUREZZA DI IMMAGINE IN CUI IL BIANCONERO DI NESTOR ALMENDROS SI FA CATALIZZATORE ESPRESSIVO.

Film puro sulla purezza, dunque, ma anche film su un sottile rapporto di potere, rapporto di potere limitato, certo, da moltissimi aspetti positivi nella relazione che si instaura fra il protagonista ed il ragazzo selvaggio.

Ripeto ed approfondisco: la messa in scena nel "Ragazzo Selvaggio" è diversa da molti altri film di Truffaut, qualche studioso ha messo in luce di come la messa in scena sia tipicamente bressoniana, nella sua apparente freddezza e riflessività, nel suo rigore formale, nella sua austerità.

Ad esempio, bene è stato sottolineato l'uso della voce fuori campo (quasi a volere esaltare il proprio carattere critico-narrativo, teorico, riflessivo), l'uso della dissolvenza (che scandisce in modo solenne ed austero l'andamento del film oltre ad isolare gli episodi fra loro e farli riallacciare allo spettatore in modo critico e riflessivo, anche in questo caso).

Ecco, questi sono tutti aspetti molto importanti del cinema del sommo Robert Bresson (1901-1999), del suo cinema austero e spirituale.

In chiusura: tirando le somme, io credo che "Il Ragazzo Selvaggio" sia attraversato, magari in modo nascosto, da una pulsione comunque anti-autoritaria, NOSTALGICAMENTE LEGATA ALLA LIBERA VITA SELVAGGIA, come ci mostra l'ultima scena del film.

Il rimpianto stesso, costituisce, implicitamente una critica a molti aspetti della civiltà e della società borghese in cui il ragazzo selvaggio si trova costretto a vivere, questo è a mio avviso una scena (quella finale, appunto) assolutamente da non sottovalutare e da tenere presente.

"Il Rgazzo Selvaggio": film molto importante proprio in virtù di questo suo carattere ambivalente.

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