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VIOLENT COP (1989)


"Violent Cop" uscito il 12 Agosto 1989 rappresenta l'ottimo esordio alla regia di Takeshi Kitano (1947) fino a quel momento solo attore molto versato anche nel genere comico anche se a giudicare sopratutto da questo suo film di esordio da regista proprio non si direbbe.

"Violent Cop" si staglia prepotentemente sullo sfondo del cinema giapponese di fine anni Ottanta rinnovando ed aprendo un discorso nuovo sul cosiddetto Yakuza Eiga (vale a dire film di genere gangsteristico giapponese) e sul Film Poliziesco.

All'interno del cinema giapponese moltissimi sono i film prodotti di genere poliziesco e gangsteristico e molti i registi, anche importanti che ne hanno fatto la storia: da Kinji Fukasaku (1930-2003) (il quale avrebbe dovuto essere il regista di questo "Violent Cop" poi rimpiazzato da Takeshi Kitano) a Seijun Suzuki (1923-2017) (il quale gira un film seminale come "La Farfalla sul Mirino", del 67) per arrivare a certo Yasuzo Masumura (1924-1986), e molti altri ancora. "Violent Cop" è il titolo internazionale del film (titolo che bene si attaglia alle atmosfere di quest'opera, comunque) ma il titolo giapponese tradotto alla lettera suona come: "Attenzione, Quest'Uomo è Estremamente Violento".

Già, la violenza, vera protagonista di buona parte dei film da Takeshi Kitano girati (ed interpretati, come anche nel caso del film di cui sto scrivendo) insieme all'archetipo dell'IMPAZZIMENTO, dell'eccesso violento, della guerra personale contro tutto e tutti.

Questo film tratta proprio delle vicende di Azuma (interpretata dallo stesso Takeshi Kitano) poliziotto violento e sociopatico in rotta di collisione con le regole della convivenza civile e della sua furia devastatrice la quale esplode a seguito di due episodi:

quando viene a sapere che un suo collega è corrotto e coinvolto nello spaccio di droga e che sua sorella è stata violentata, Azuma ingaggerà una guerra personale contro il crimine e la corruzione fino a rimanere ucciso in una sparatoria.

Ciò che contraddistingue questo film è la VIOLENZA ECCESSIVA, L'ECCESSO VIOLENTO, L'IMPAZZIMENTO DI STILE E DI CONTENUTO.

La violenza trova sfogo nella propria esplosione, ma in verità è la stessa atmosfera rappresentata dal film ad essere violenta, è la realtà rappresentata ad essere violenta, la VIOLENZA VIENE INNESTATA NELL'OPACA STRUTTURA DEL REALE E DEL QUOTIDIANO, conseguendo un sottile effetto stridente.

In "Violent Cop" la VIOLENZA NON ACCADE (anche se quasi "accidentalmente" questo avviene) QUANTO PIUTTOSTO E'.

Il violento sfogo fisico, materiale di Azuma è solo la manifestazione quasi "accidentale" anche se inevitabile della propria arcaica, archetipica e "maledetta" violenza interiore, della propria inguaribile sociopatia.

Azuma è un paradosso vivente ed una provocazione rispetto alle aspettative buoniste di certo pubblico (o magari anche di certa critica) un poliziotto allergico alle regole del convivere civile.

Una cosa che mi ha sempre molto colpito di questo film è l'uso insolito che si fa della musica, e nella fattispecie di un brano (bellissimo) di Erik Satie che si chiama "Gnossienne n 1" un pezzo molto intimo che in quest'opera di Kitano assume però caratteristiche nuove, vagamente inquietanti, di presagio funereo.

Una società giapponese invivibile quella ritratta in questo film, e sopratutto una società corrotta, a cominciare proprio dal corpo di polizia. Azuma è una scheggia impazzita di quel mondo, figura tragicamente paradossale anche sotto questo punto di vista:

il poliziotto più violento è anche il più onesto. La sua lotta violenta è diretta anche contro la corruzione del proprio ambiente, e venire a conoscenza di tale corruzione contribuisce a farlo impazzire, a renderlo furioso.

Una FIGURA PURA NELLA SUA VIOLENZA, VIOLENTA NELLA SUA PUREZZA, questo si potrebbe scrivere di Azuma.

Tutte queste declinazioni che ho descritto sopra risultarono essere grosse novità all'interno del cinema giapponese di fine anni Ottanta (nuova descrizione della violenza, ancora maggiore ambiguità dei personaggi, uso insolito della musica).

E' proprio la descrizione dell'ambiente che colpisce, e la conseguente RESA DI ATMOSFERA, niente e nessuno si salva nel film, in un modo o nell'altro.

Sono d'accordo con chi scrive che in "Violent Cop" la violenza è sia corporea che astratta, sicuramente questi due aspetti convivono, ma è anche vero, secondo me, che l'ASTRAZIONE AMBIENTALE ED ATMOSFERICA DOMINA SULL'INTERO FILM, fin quasi a ridurre la violenza corporea ad un dato "accidentale", pura manifestazione esteriore di tensioni interiori, latenti, occulte, personali e sociali.

Comunque, è nell'ultima sequenza che il film trova il proprio acme espressivo, formale, stilistico (e figurativo), nella scena della sparatoria in cui Azuma trova la morte, nel suo cadavere inquadrato fra ombra e luce, di un uomo delle tenebre toccato dalla luce proprio nell'attimo della morte, paradosso vivente (e morente), ambiguità assoluta e finale.

La morte, in questa sequenza finale viene illuminata, cosciente atto cinematografico dunque, la morte viene illuminata (resa maggiormente visibile) e MESSA IN QUADRO, INQUADRATA, CINEMATOGRAFICAMENTE RESA.

Suprema e demiurgica prova di forza cinematografica da parte di Takeshi Kitano, IL CINEMA ILLUMINA ED INQUADRA LA MORTE, IL CINEMA VINCE SULLA MORTE.

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