BEING THERE (1979)
"Being There" del regista Hal Ashby (1929-1988) è un film che mi ha sempre colpito molto, fin dalla prima volta che lo vidi. Uscito il 20 Dicembre 1979 è considerato l'ultimo film davvero importante del regista e il penultimo film interpretato dal grande Peter Sellers.
Film insolito, sui generis, come del resto molti dei film (se non altro i più significativi) di Hal Ashby, e mi vengono a mente i bellissimi "Harold e Maude" (1971) e "The Last Detail" (1973).
Regista eccentrico, Hal Ashby, anche rispetto ai canoni della New Hollywood di cui questo "Being There" costituisce uno degli ultimi fulgidi esempi.
Il protagonista del film, il candido, ingenuo, sprovveduto Chance il cui unico legame con il mondo è costituito dall'atto di guardare la televisione si ritrova fuori dalla casa in cui lavora e si ritrova catapultato nel mondo dell'alta borghesia americana la quale intrattiene stretti legami addirittura con il presidente degli Stati Uniti, in breve Chance diventa una sorta di consigliere e "profeta" all'interno di quel mondo proprio a causa delle sue esternazioni ingenue e naif (a dir poco, naif) che vengono però intese come pensieri profondi ed enigmatici sul mondo, sulle cose, sulla politica.
Chance rimane un personaggio misterioso, impenetrabile, enigmatico, ma anche una vittima delle circostanze e uno strumento inconsapevole di altri, una CREATURA DEI MASS-MEDIA, DELLA TELEVISIONE.
Sicuramente questo film rappresenta anche un attacco da parte di Hal Ashby all'idiozia sociale, alla creazione di miti inconsistenti, di cartapesta, ma c'è di più, reputo Chance un PERSONAGGIO ECCEDENTE, centrifugo, per certi versi incatalogabile, crocevia forse irrisolto delle tensioni che animano il film.
In questo senso "Being There" è una delle punte più avanzate della New Hollywood, proprio in virtù della sua impietosa (e grottesca) disamina sociale. Ma, ripeto anche film sul fascino misterioso del candore infantile (Chance è un adulto rimasto bambino, in tutto e per tutto) sul suo intrinseco carattere provocatorio rispetto al mondo, alla realtà, al mondo degli "adulti".
Personaggi grotteschi, ridicoli quelli dell'alta borghesia ritratta nel film, alla ricerca disperata di un "guru".
Nel film tutto passa tramite la televisione, Chance passa tutto il giorno a guardarla (la sua limitatissima e distorta conoscenza del mondo deriva dalla televisione) ed è egli stesso un PRODOTTO TELEVISIVO, il quale viene, a sua volta, dalla televisione "sponsorizzato" come genio impenetrabile, come profeta, come pensatore inarrivabile.
Ci muoviamo nell'ambito dell'INAUTENTICO SOCIALE. Ci muoviamo all'interno di una società costruita dalla televisione, a sua immagine e somiglianza.
Importante rimarcare il fatto che il film, almeno in una certa misura possiede i toni della commedia proprio a dimostrare di come Ashby sbeffeggi ed irrida a quel mondo ed alla società tutta.
Del resto il suo cinema è sempre stato un cinema "contro" sopratutto contro le convenzioni sociali ed il suo grigiore e anche in questo caso mi sembra doveroso citare di nuovo i suoi due bellissimi "Harold e Maude" e "The Last Detail"
Da più parti è stato sottolineato di come la critica sociale di Ashby sia, in qualche modo, circostanziata, di come egli ci parli in primo luogo e sopratutto della società americana della fine degli anni Settanta "del suo vuoto spirituale e della sua impreparazione culturale" come è stato scritto.
Tutte cose vere le quali però, a mio avviso rimangono al di qua della complessità e dell'articolazione del film, della sua moltiplicazione di senso e di significato.
Ripeto, l'ambiguità del film passa attraverso il personaggio-protagonista, Chance, il quale si trasforma in VETTORE MISTERIOSO DI SIGNIFICATO DEL FILM proprio in virtù della sua impenetrabilità.
Voglio dire, per gran parte del film Ashby si muove sostanzialmente in quella direzione, nel senso che Chance risulta essere effettivamente una persona limitata, naif, fin troppo ingenua e consumatore insaziabile di televisione, un "nulla" che si ritrova a d essere pensatore e profeta dell'Establishment (prova quindi dell'inconsistenza culturale e spirituale delle classi superiori americane).
Ma c'è qualcosa di più, e mi riferisco alla magnifica, stupenda scena finale (vedi la foto in apertura all'articolo) quella del cammino sulle acque.
Personaggio eccedente, come ho scritto prima, personaggio che supera i parametri codificati che rimane in una certa misura sempre AL DI LA', personaggio forse portatore proprio a causa del suo "stato mentale" (pensiamo al discorso tenuto alla fine del film: "la vita è uno stato mentale") e non di ciò che egli dice (invero BANALE, PIATTO, TELEVISIVO), portatore a causa di ciò che egli è nella sua ingenuità naif di una misteriosa saggezza (ed ecco in che senso cammina sulle acque).
Certo la mia è una pura ipotesi ma che mi sembra suggestiva. La scena del cammino sulle acque si fa centro nevralgico del film, non solo nel senso che ho appena spiegato ma anche per la sua DENSITA' VISIVA, per il suo CARATTERE ICONICO: il Cinema passa con tutta la sua forza, la sua pregnanza attraverso quella scena e quelle inquadrature, eccedenza di senso, forza centifuga, costruzione visiva, la quale nega, in qualche modo l'aspetto verbale del film, rappresentato dalle parole di Chance (volutamente banali in quanto il film nella sua interezza è un attacco alla banalità televisiva), la PAROLA TELEVISIVA incorporata nel film, viene espulsa tramite l'IMMAGINE CINEMATOGRAFICA.
Forse risiede davvero in questo il fascino di questo film.