DIRTY HARRY (1971)
- Francesco De Maria
- 11 nov 2016
- Tempo di lettura: 4 min

"Dirty Harry", primo film sull'ispettore Callahan (questa la grafia corretta del cognome) di Don Siegel (1912-1991) uscito il 21 Dicembre 1971, è a mio parere uno dei film più incompresi e sottovalutati della storia del cinema americano.
Quest'opera ha seguito le sorti di "The French Connection" (1971), il film di William Friedkin di cui ho trattato nel mio precedente articolo del 2 Novembre.
Ne ha seguito le sorti ma in modo ancora più drammatico: film reazionario e superficiale, di intrattenimento, da parte di un regista come Don Siegel apprezzato almeno da certa critica per molti suoi film precedenti.
Il film, invece, prima di tutto trasporta la figura del cavaliere errante, dell'eroe solitario nella San Francisco dei primi anni Settanta, Harry Callahan peresegue maniacalmente una propria idea di giustizia, fuori da qualunque schema.
Ovviamente, da un punto di vista strettamente politico e sociale il film presenta alcune ambiguità, ma ciò che conta (come insegna la critica francese dei Cahiers du Cinema) è prima di tutto la realizzazione registica, la messinscena, lo spessore culturale e morale (e di conseguenza anche politico e sociale) INSITO NELLE IMMAGINI, NELLE INQUADRATURE, NELL'IDEA DI CINEMA E QUINDI NELLA CONSEGUENTE IDEA DI MONDO DEL REGISTA.
"Dirty Harry" è sicuramente un film dal notevole spessore cinematografico e culturale, l'opera di un'artista.
E non è un caso che la critica più attente e profonda, negli anni Sessanta rivalutò ampiamente l'opera siegeliana sottraendola dalle secche del cinema "di genere", conferendogli tutto lo spessore proprio di un cinema "di autore".
Anche Siegel compie, in linea con la pratica revisionistica di molti giovani della New Hollywood di quegli anni, una rivisitazione di un genere (in questo caso il poliziesco) intessendolo di un proprio discorso sul Cinema e sulla Realtà.
Certo, Don Siegel non appartiene alla nuova generazione di registi, non appartiene anagraficamente alla New Hollywood, ma questi film dei primi anni Settanta come anche il successivo "Charley Varrick" (1973) si possono facilmente inserire nella nuova temperie.
Ad ogni modo, Siegel anagraficamente apparteneva alla Hollywood classica (considerando che il suo film di esordio è del 1946).
Il film è notevole sotto il profilo visivo e presenta un forte grado iconico: il personaggio di Harry Callahan, il duro poliziotto, interpretato da Clint Eastwood è come scolpito nella pietra raggiunge vette di iconicità, si staglia come un eroe solitario sullo sfondo della metropoli americana.
Il film è fortemente VISIVO-DINAMICO, rimangono impresse le scene di corpi che corrono, che sparano, che si inseguono, che si scontrano.
Cinema visivo, cinema dinamico, cinema del corpo: corpo come presenza iconica, magnetica o eroica, dinamismo come movimento, scatto in avanti, puro visibile del corpo che si muove.
Harry Callahan come figura eroica, dunque, come figura marginale e solitaria in lotta contro un mondo dai contorni poco netti, compromissorio e meschino.
In un certo senso Callahan è il rovescio della medaglia degli (anti) eroi solitari e perdenti che popolano il cinema della New Hollywood, anch'egli è un (anti)eroe, cinico e violento, ma con un proprio codice etico-morale ferreo e non compromissorio.
Un uomo in lotta con il mondo. "Dirty Harry" presenta anche notevoli spunti sociali, ed è vero che fonde il poliziesco "duro" di scuola HardBoiled con il dramma sociale, come è stato scritto: c'è anche una certa disamina delle ripercussioni negative della guerra del Vietnam (ed in questo senso pensiamo alla figura del killer, a Scorpio, alla sua solitudine crudele e spietata, al suo disagio mentale).
Due solitudini in lotta; Callahan e Scorpio. Il film assume anche tonalità gotiche, nebbiose e torbide (pensiamo alla magnifica scena del campo da gioco con un primo incontro Callahan/Scorpio e quel movimento di macchina all'indietro che si fa panoramica), vi è in questo caso una latente e sottile deformazione del Reale che si trasforma in un incubo: UNA LOTTA NELL'INCUBO, UNA LOTTA DA INCUBO, fra due solitudini estreme; il poliziotto duro e tutto di un pezzo e l'emarginato psicopatico.
Siegel non fa sconti alla società e proprio in questa sua durezza bisogna comprendere il valore critico di questo suo film.
Fuori luogo la critica di Pauline Kael a "Dirty Harry" come film della maggioranza silenziosa nixoniana; il film si muove su un altro piano, siamo alle prese, come ho tentato di spiegare, con un film DI MINORANZA SU DUE SOLITUDINI.
Film irregolare, lo scarto rispetto alla regola. La lotta di Callahan è sostanziata da una spinta morale assai forte, da un bisogno e desiderio di giustizia, egli è un cavaliere riparatore di torti, non candido, certo, ma cinico, brutale (ecco, quindi le accuse di reazionarismo).
Qualche studioso ha parlato per questo film di Morality Play (spettacoli teatrali a carattere didattico e religioso del Medioevo inglese), certo che, la lotta di Callahan finisce con un auto-sacrificio dal momento che, nella stupenda scena finale getta il proprio distintivo.
Non c'è trionfalismo in questo film ne tantomeno glorificazione del corpo di polizia, come vediamo, quanto piuttosto auto-sacrificio (mi verrebbe da dire auto-annullamento),presa di coscienza netta e definitiva della propria incommensurabile SOLITUDINE E IRREGOLARITA'.
In un certo senso Harry Callahan SCOMPARE E SI FA FIGURA FANTASMATICA, annulla la propria ragione di vita, la propria MISSIONE MORALE, EGLI E' LA PROPRIA MISSIONE MORALE, assistiamo ad un SUICIDIO FANTASMATICO e quanto più fantasmatico tanto più reale.
Il film si chiude quindi con una sconfitta, finale, questo, tipico di moltissimi film della New Hollywood.
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