MY BEAUTIFUL LAUNDRETTE (1985)
"My Beautiful Laundrette" (1985), del regista inglese Stephen Frears (1941) uscito il 18 Agosto 1985 è uno degli esempi più significativi del cinema inglese (del nuovo corso) degli anni Ottanta.
Il film è una rappresentazione realistica della Londra di metà anni Ottanta (del periodo di Margaret Thatcher) e dei conflitti, o comunque dei rapporti disarmonici fra inglesi autoctoni e comunità pakistana nelle aree periferiche di Londra (Battersea, nel nostro caso).
Stephen Frears è una delle figure più significative della nuova ondata del cinema inglese e di quel movimento (ma di movimento non si tratta, in definitiva, mancando un manifesto programmatico) definito British renaissance.
Frears prima di approdare al cinema lavorò per la televisione e la pubblicità; ed il suo cinema mostra subito il proprio debito con la gloriosa stagione del Free Cinema (a cui ho dedicato l'articolo dell'11 Luglio), con la sua forte propensione al realismo ed al dato realistico, con la sua forza trasfigurante.
Frears si segnala subito come regista "realistico" poichè, fin da subito pone la sua attenzione alla realtà popolare inglese, alla rappresentazione delle periferie e dei conflitti che le animano.
"My Beautiful Laundrette" nasce dalla collaborazione di Frears con lo scrittore di origine pakistana Hanif Kureishi e rappresenta, come ho già scritto il rapporto spesso conflittuale fra britannici e pakistani, rincarando la dose poi, Frears aggiunge la rappresentazione della cultura punk (e delle bande di strada, spesso xenofobe o razziste) e la tematica omosessuale (il giovane balordo, interpretato da Daniel Day Lewis, qui alla sua prima prova importante intreccia una relazione "ambigua" con un giovane pakistano).
Tematiche scottanti, quindi, almeno nel 1985. Quello che colpisce, di questo film, e che a me colpisce sempre, ogni volta che lo riguardo, è proprio la sua freddezza clinica, analitica: Frears sottrae il terreno da sotto ai piedi allo spettatore in cerca di una facile immedesimazione.
Il film è attraversato per intero da cinismo e freddezza, come già qualcuno ha scritto, caratteristiche peculiari di tutto il cinema di Stephen Frears, il regista guarda con occhio lucido e disincantato alle vicende della società inglese, egli è, cinematograficamente parlando, figlio del Free Cinema da cui riprende lo spirito corrosivo e dissacratore, ma da cui si distacca per una maggiore propensione ad una sorta di freddezza analitica, allontanandosi dalla sottile vena di poesia tipica del Free Cinema (debitore in questo, il Fee Cinema, del documentarismo poetico di Humphrey Jennings).
Stephen Frears, figlio disincantato e cinico del Free Cinema, dunque. Importanti i trascorsi televisivi di Frears: la televisione medium freddo per eccellenza in opposizione al medium caldo, il cinema.
Ecco, a mio avviso il regista inglese propone, in questo film anche una freddezza televisiva, usa lo stile televisivo per far risaltare al meglio il suo stile cinematografico, la sua visione del cinema come arte capace di penetrare analiticamente il reale e la sua visione disincantata della società (nella fattispecie del periodo thatcheriano, segnato dall'ultraliberismo).
UN CINEMA CHE ASSIMILA LO STILE TELEVISIVO PER USARLO COME TRAMPOLINO DI LANCIO, COME CATALIZZATORE DI UNA ATTITUDINE STILISTICA ALLA FREDDA ED IMPIETOSA ANALISI.
Lo stesso film (realizzato originalmente per la televisione e prodotto da Channel Four) è un IBRIDO SOSPESO fra televisione e cinema, freddezza televisiva travasata in stile cinematografico, autoriale, netto e definito.
Ad ogni modo. questo film del 1985 è altamente esemplificativo di atmosfere e stilemi della British Renaissance degli anni Ottanta (ma nata, è bene ricordarlo, alla fine degli anni Settanta).
Ne presenta le caratteristiche produttive,ad esempio: il film come ho scritto è prodotto da Channel Four la televisione che lavorava per il cinema, ma anche tematiche (critica sociale al thatcherismo) e sopratutto stilistiche; in "My Beautiful Laundrette" assumono notevole importanza i dialoghi.
Dialoghi che non trasformano il film in qualcos'altro, evitando quindi la trappola del teatro filmato, ma dialoghi inseriti, incastonati nella struttura del film, inseriti nella struttura visiva dell'opera, sono dialoghi che necessitano di visualizzazione cinematografica, destinati ad essere resi visibili, in una parola cinematografici.
Tali dialoghi acquistano la loro forza e la loro identità solo assumendo connotati cinematografici, solo facendosi parte integrante dell'arte (audio)VISIVA.
Questa è l'essenza del film di Frears, a mio avviso, un compenetrarsi di piani diversi: il piano sociale, la freddezza analitica, lo stile televisivo che si fa cinematografico perchè stile non impersonale, ma personale, frutto di studio e di riflessione.
LO STILE SI FA CONTENUTO IL CONTENUTO SI FA STILE: il minimo comun denominatore della freddezza incrocia visione della società e visione del cinema, visione del mondo e visione artistica, rendendo forma e contenuto un tutto amalgamato.
Cinema e società, cinema sociale, cinema appuntito. Il cinema di Frears è un cinema duro, nella sua freddezza, disincantato, cinico, talora disperato.
Nel film assistiamo anche alla rappresentazione del rapporto servo-padrone e del suo ribaltamento; ecco, questo è un tratto, secondo me, tipico di tutto un cinema inglese (sto pensando al bellissimo "Il Servo" di Joseph Losey, del 1963).
Rapporti sociali, screziati da equilibri psicologici anomali, rapporti umani torbidi e ambigui, ribaltamenti di ruoli.
Il cinema di Frears (e questo film bene lo dimostra) è debitore di una lunga tradizione del cinema inglese (sopratutto dei primi anni Sessanta).