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VANISHING POINT (1971)


"Vanishing Point": punto che svanisce, o meglio punto di fuga. E proprio di fuga si tratta in questo film del sottovalutato Richard Sarafian (1930-2013) autore di questo intenso e profondo "Vanishing Point", appunto, uscito il 15 Gennaio 1971.

Film sulla fuga, sulla corsa, sulla sfida alle convenzioni e a regole sociali cristallizzate. Alla sua uscita il film fu paragonato ad "Easy Rider" (1969); i film rientrano sicuramente entrambi nel fenomeno della New Hollywood ed appartengono alla stessa temperie, ma sono molto diversi: "Easy Rider" si configura piuttosto come un apologo Freak sul viaggio e sulla libertà individuale, nel film di Sarafian assistiamo ad una vicenda che si tinge di caratteri epici e metafisici, oltre che esistenziali.

Il protagonista del film, Kowalski, interpretato da Barry Newman guida senza sosta attraverso gli Stati Uniti sud-occidentali per una scommessa, fugge dalla polizia che lo ricerca e le sue gesta vengono cantate e celebrate da un dee-jay di colore, cieco, chiamato Super Anima.

Il film è inframmezzato da flashback che bene ci mostrano l'immagine di un Kowalski stanco e disilluso e che proprio a causa di tale disillusione decide di ribellarsi e di giocare il tutto per tutto.

Il film di Sarafian si muove nello spazio che si frappone fra MITIZZAZIONE e SMITIZZAZIONE, Kowalski è davvero un eroe-antieroe, o forse un antieroe-eroe.

Il film si muove quindi in uno SPAZIO AUTONOMO rompendo così i parametri di un genere come il Road-Movie e compiendo in tal modo una tipica operazione da cinema della New Hollywood.

Il cinema della New Hollywood ci ha abituato a finali belli, importanti, toccanti, pensiamo a "Bonnie and Clyde" (1967) di Arthur Penn, "Il Laureato" (1967) di Mike Nichols, "Point Blank" (1967) di John Boorman, "La Notte dei Morti Viventi" (1968) di George Romero, "Easy Rider" (1969) di Dennis Hopper, "Midnight Cowboy" (1969) di John Schlesinger, "Il Mucchio Selvaggio" (1969) di Sam Peckinpah, "Brewster McCloud" (1970) di Robert Altman, o "Taxi Driver" (1976) di Martin Scorsese, per tacere di molti altri.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un finale di morte, dal momento che Kowalski muore ucciso dalla polizia ad un posto di blocco, ma la cosa che colpisce maggiormente è che Kowalski pensa di riuscire a sfondare il posto di blocco con un sorriso sul volto, in questo caso la morte arriva davvero inaspettata conferendo, forse, all'intera vicenda un carattere anti-eroico, appunto, siamo alle prese con un ribelle che corre per la vita, senza tendenze più o meno latenti auto-distruttive, il quale inoltre valuta male la situazione rimanendo così ucciso; il finale è davvero bello e molto particolare.

Con l'errore di valutazione il finale si fa davvero reale, ma reale in un modo opaco ed amaro, Sarafian ha fornito un contributo non da poco con questo film ad una resa personale e libera del finale.

Nel film si parla poco (i dialoghi sono più numerosi all'interno dei Flashback), la parola viene quasi bandita, si perde, perde forza e consistenza rispetto alla FUGA, al MOVIMENTO, al LIBERO DINAMISMO, alla SPINTA IN AVANTI.

Il film è davvero intriso di anarchica vitalità, come qualcuno ha scritto, di movimento contrapposto alla staticità della parola, del dialogo: in questo modo il film riscopre, forse, le ragioni immediate del corpo e del suo insopprimibile bisogno di libertà.

Ma la fuga di Kowalski è una fuga anche mentale, senza alcun dubbio, egli è un disadattato a cui stanno strette non solo molte regole sociali, ma la stessa società del Capitale.

Il protagonista ricerca un rapporto autentico con il paesaggio naturale, il suo si configura davvero come un ritorno (fallito, fallito già in partenza) alla mitologia primigenia di una certa America, al mito pionieristico del Sud-Ovest statunitense (Colorado, Nevada, Utah).

Il ritorno a certi archetipi risulta letale nell'America dei primi anni Settanta, un'America ancora impantanata nelle giungle del Vietnam e con lo scandalo Watergate ai blocchi di partenza.

Siamo alle prese, quindi, con un film cupo e pessimista e con un personaggio solitario, perdente (e che non ha più niente da perdere) alienato rispetto alla società ed ai suoi simili, tipico esponente di una società alienata; certo comunque Kowalski dice no (a modo suo) e si ribella al Sistema.

La ribellione, che attraversa molti film della New Hollywood è una ribellione ambigua, sterile, molte volte con aspetti sia positivi che negativi.

In più, Kowalski risulta essere un po' un ribaltamento dell'eroe western, egli attinge (inconsapevolmente) a quell'immaginario ma in qualche modo lo "umanizza" (come ho tentato di spiegare sopra) lo opacizza a fronte di una inconsapevole sconfitta finale, Kowalski è davvero un personaggio fertilmente ambiguo e complesso: un anti-eroe eroe, o forse un eroe anti-eroe, come ho scritto prima.

Certo le sue gesta vengono innalzate alle altitudini dell'Epos, proprio dal cantore cieco (e quindi profetico il quale riesce a vedere con occhi spirituali e più profondi) ma rimane un anti-eroe incastrato in un certo tipo di vicenda e di storia.

In definitiva credo che la definizione che meglio si attaglia Kowalski è proprio quella di eroe anti-eroe: eroe costruito dal cantore cieco, ma appunto costruito, quindi un eroe ARTEFATTO, ma anti-eroe proprio nella sua alienazione, nella sua ribellione, anche bella e perchè no "eroica" ma sterile, ambigua e fondamentalmente inconsapevole.

Reputo "Vanishing Point" un grande film proprio in questa attitudine alla rilettura di generi e schemi ed in questo suo pessimismo di fondo, un vero film "critico" degno di essere affiancato ai più bei film di quella stupenda stagione del cinema americano.

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