FELLINI SATYRICON (1969)
Di Federico Fellini ho già trattato in questo mio blog, e per la precisione nel mio primo articolo (datato 22 Gennaio 2016) in cui ho affrontato il problema del rapporto stretto e talora quasi sotterraneo e nascosto fra il cinema felliniano e il Neorealismo (sopratutto nella sua declinazione rosselliniana).
In questo articolo, invece, vorrei trattare di uno dei suoi film più celebri (e secondo me uno dei film migliori del regista) come "Fellini Satyricon" uscito il 3 Settembre 1969.
Il film è solo ispirato al romanzo dello scrittore Latino Petronio (vale a dire che non ci troviamo di fronte ad una trasposizione letterale) e traspone sullo schermo la struttura profonda del romanzo ed il suo senso di incompiutezza (il romanzo ci è giunto non integrale).
Anche il film felliniano ne ripropone in parte i caratteri (certo non voluti da Petronio) nel senso che il regista mette in scena un film fatto di ellissi, di salti temporali: negli intervalli fra i salti abbiamo il MISTERO NARRATIVO-VISIVO.
Il film rappresenta l'irrappresentabile (ed irrappresentato), mette in scena la mancanza, le ellissi ed i salti temporali assumono un contorno preciso, aggiungono senso (misterioso ed ineffabile al film); L'ASSENZA SI FA PRESENZA.
Ed ecco che il film presenta una struttura narrativa assai debole, sfilacciata, in linea con il Cinema Moderno. Il film potrebbe essere definito come il prosieguo di "La Dolce Vita" (1960), in entrambi vediamo rappresentata la decadenza di una intera società e in entrambi spira una brezza decadente e funerea.
Il cinema di Fellini sempre più, almeno a partire dalla fine degli anni Sessanta si fa un cinema che rappresenta oniricamente la decadenza, il grottesco, il "meraviglioso", la galleria di mostri, i quali sembrano fluttuare liberi ed evanescenti negli spazi onirici; ecco, in questo senso "Fellini Satyricon" è forse il suo film più rappresentativo.
In più il film non tratta tanto della decadenza dell'antica Roma ma piuttosto della contemporanea civiltà occidentale.
Il film è davvero intriso di tematiche notturne, "ctonie" e bene rappresenta il ritorno del Rimosso, l'ambiguità del confine fra reale ed onirico.
Il film si potrebbe considerare una sorta di "La Dolce Vita" interiore, laddove nel film del 1960 assistevamo, comunque anche (certo non solo) ad un discorso sulla società, nel film del 1969 lo sguardo felliniano si fa più interiore e quindi la dimensione onirica si rivela con ben altra forza.
La realtà rappresentata è una realtà infera, "ctonia", notturna, ARCHETIPICA, Fellini vuole rappresentare i primordi psichici dell'umanità.
Il film alla sua uscita non fu ben compreso da almeno una parte della critica proprio a causa del suo sperimentalismo narrativo di tipo onirico, ma quello che molti critici interpretarono come debolezza e mancanza del film di Fellini ne rappresenta invece la forza ed il fascino misterioso.
La stessa struttura narrativa, a mio avviso è MODIFICATA IN SENSO ONIRICO, laddove, molte volte la struttura narrativa è sostanziata di Principio di Realtà (con tutto ciò che questo comporta in termini di causa-effetto, ad esempio, ma non solo) qui la narrazione è governata dall'Es (freudianamente parlando) dal Principio di Piacere, dallo scarto rispetto alla regola causale, in breve, per tornare a quello che scrivevo in apertura di articolo, all'ELLISSI, AL SALTO.
Salto temporale e spaziale, salto di senso, INTENSIFICAZIONE DELLA RESA MISTERIOSA di situazioni, eventi, o della stessa messa in scena (che il Cinema spesso presenta). Protagonista del film è il Mistero, in tutti i suoi sensi.
A tale movimento intensificato (ellissi e salti) fa da contrappeso una ricerca della fissità, quasi dell'inquadratura fissa, talmente fissa, però, da far scaturire un SENSO ULTERIORE (ulteriore da leggersi proprio nel senso di oltre, di "più in là") alle immagini, a caratterizzarle in senso onirico e sospeso.
D'altronde il carattere sospeso segna l'intero corpus filmografico felliniano già dai primi film maggiormente segnati dall'esperienza Neorealista rosselliniana come ho tentato di illustrare nel mio primo articolo.
Forse le scene che meglio rappresentano questo aspetto del film sono due: la scena della nave di Lica che si apre proprio con un'inquadratura fissa della nave oscillante in mare aperto che trasmette un senso sospeso, onirico e misterioso, e la scena della villa dei suicidi con "quadri" di ambiente degli esterni della villa: la fissità come PENETRAZIONE ONIRICA DEL REALE.
Io ribadisco la mia idea; con "Fellini Satyricon" ci troviamo di fronte ad uno dei migliori film di Fellini, un film compendio ed un film cerniera fra il primo Fellini e l'ultimo Fellini, il quale forse giocava troppo a fare film "alla Fellini" abbandonandosi in maniera esagerata al senso di "meraviglia" ed alle gallerie di mostri (mi viene a mente il pur interessante "Il Casanova di Federico Fellini" del 1976).
In "Fellini Satyricon" non vi sono grossi squilibri ma piuttosto le componenti si amalgamano bene: il senso onirico e di sospensione, la galleria di mostri, il senso notturno delle cose, la penetrazione onirica.
Quindi nuovo film-cerniera, proprio come 12 anni prima "Le Notti di Cabiria" (1957), fra una fase comunque onirica, pensiamo soltanto a "Otto e mezzo" (1963) o a "Giulietta degli spiriti" ma ancora equilibrata e la fase forse più squilibrata, ridondante degli anni Settanta.
"Fellini Satyricon" è un film molto complesso ed articolato, fertilmente ambiguo, fascinosamente misterioso, il film di un Maestro della Settima Arte.