THE LOST WEEKEND (1945)
Billy Wilder (1906-2002) conosciuto sopratutto come autore di commedie, anzi forse il regista simbolo della commedia hollywoodiana degli anni Cinquanta-Sessanta (pensiamo soltanto a titoli come "A qualcuno piace caldo" del 1959, "L'appartamento" del 1960, "Irma la dolce" del 1963 o "Baciami stupido" del 1964, per tacere di altri) negli anni quaranta si fece notare presso i cinefili e la critica più avveduta e sensibile come un autore drammatico, come creatore di film Noir di forte impatto visivo.
"The Lost Weekend" uscito il 16 Novembre 1945 complesso e stratificato film Noir ed impietoso dramma dell'alcoolismo appartiene alla schiera dei migliori film di Wilder (insieme ovviamente ad alcune sue commedie, ma questo è un altro discorso).
Il film, da un certo punto di vista, risulta essere quasi una cronaca impietosa della degradazione psico-fisica di un uomo alcoolizzato (uno scrittore in crisi, reso magnificamente da Ray Milland) e del suo ingresso in stati allucinatori da Delirium Tremens.
Billy Wilder fu un regista Europeo trapiantato in America, questo dobbiamo tenerlo sempre presente, un ebreo austriaco sfuggito all'antisemitismo montante e rifugiatosi ad Hollywood.
La sua formazione cinematografica fu segnata dal cinema Espressionista (cinema di avanguardia dall'accentuato taglio visivo e segnato da chiaroscuri luministici, angolazioni distorte, scenografie sghembe, recitazione caricata ed enfatica ai limiti del grottesco), un cinema, quello Espressionista a cui si ispireranno molti autori di film Noir (guarda caso, molto spesso anch'essi fuoriusciti europei come Fritz Lang, Robert Siodmak o Lewis Milestone) e "The Lost Weekend" si potrebbe considerare un po' un film Espressionista degli anni Quaranta, terreno di ibridazione; dove il film Espressionista, tutto d'un blocco va a sfociare nel film Noir e quest'ultimo guarda e si contamina con una sorta di documentarismo: L'ESPRESSIONISMO SI FA FILM NOIR IL QUALE SI TRAMUTA IN UN DOCUMENTARISMO SECCO ED ALLUCINATO CHE TORNA A FARSI FILM NOIR.
Il film, in questo senso ha un andamento assai peculiare ed unico, un film che rimane sempre se stesso ma contaminandosi in maniera dinamica e fluida.
Sicuramente è il film più tetro di Billy Wilder, quello che lascia meno speranze, quello che affonda nell'abisso della degradazione umana, del malessere, dell'incubo e dell'allucinazione distorta.
Quello che colpisce fortemente del film è, come dicevo, il suo carattere ibrido, il suo mostrarsi come opera ibrida e contaminata, che guarda sempre avanti, che immagina un CINEMA DELL'OLTRE, un cinema inedito sia nel panorama del cinema Americano che di quello Europeo, il suo presentare il film Noir come spazio della contaminazione libera, dinamica e virata in nero.
Il film è caratterizzato da riprese in esterni reali e per questo fu elogiato, per esempio da noi in Italia presso certa critica militante e "realista" (Guido Aristarco in primis) come prototipo di film Neo-Realista americano,
Il paragone anche se suggestivo, è, secondo me un po' azzardato, nel senso che le riprese in esterni reali vengono declinate in senso Noir ed Espressionista, ma è proprio questo il motivo che rende grande il film.
La tendenza realista si innesta nel tessuto del film Noir, quest'ultimo si fa realista: assistiamo in questo modo alla rappresentazione potente e disturbante di una realtà da incubo, un INCUBO RESO REALISTICAMENTE, UNA REALTA' PENETRATA E DISSEZIONATA DELLA QUALE SI METTONO IN LUCE LE QUALITA' PERTURBANTI E DISTORTE.
Nel film ci sono vari richiami (forse un po' occulti e criptici) alla grande esperienza del cinema Muto , e non solo Espressionista: da qualche parte è stato segnalato come il film di Wilder risulti essere un rovesciamento parodistico dei film "morali" e "vittoriani" del Maestro David Wark Griffith (1875-1948, il quale, non scordiamolo girò un fondamentale dramma dell'alcoolismo "A Drunkard's Reformation" (1 Aprile 1909), una storia di redenzione; assistiamo, quindi, con il film di Wilder ad un rovesciamento cinico di quella che era la prospettiva Griffithiana.
Ecco perchè "The Lost Weekend" risulta essere un film fortemente composito e articolato un film che è terreno di ibridazione continua di FORME CINEMATOGRAFICHE: il film Espressionista, il film Noir, l'aspetto documentaristico, il cortometraggio Griffithiano, ma il tutto è tenuto insieme, sotto l'ombrello del film Noir, la forma Noir in questo caso si muove in più direzioni, governa tutte le dinamiche, Forma fra le Forme, ma anche Forma suprema e demiurgica la quale sostanzia lo spirito dell'intero film.
Il film è anche una forte rappresentazione di flussi psichici inconsci, dell'incontro-scontro fra l'Inconscio e il Conscio, fra sepolte tensioni psichiche interiori e aspetti più "esteriori" e pubblici, ambientali: SPAZIO INTERIORE E AMBIENTE RESO REALISTICAMENTE si incrociano, si incontrano, si scontrano.
L'appartamento del protagonista, dello scrittore in crisi ed alcoolizzato il quale ad un certo punto soffre anche di allucinazioni da Delirium Tremens (la famosa scena del pipistrello) rappresenta il Rimosso, gli aspetti inconsci dell'Io, l'Es finalmente sciolto e liberato, il sogno che si fa incubo, la rilevanza del malessere interiore e di riflesso anche sociale degli USA di metà anni Quaranta, forse l'appartamento dello scrittore rappresenta non solo il rimosso del protagonista, ma quello di una intera società.
In questo senso, forse, il film davvero assume una valenza ed una connotazione fortemente REALISTICA, un REALISMO IMMERSO NELLO STATO ALLUCINATORIO, assistiamo quindi alla rappresentazione di una società da incubo.
Vorrei chiudere questo mio articolo con le parole di Chartier, il quale scrisse nel 1946, a proposito di "The Lost Weekend":
"un film noir, uno dei film più disperati che abbia mai visto".
Parole che sottoscrivo pienamente: un film Noir, un film disperato, un film indimenticabile.