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THE OX BOW INCIDENT (1943)


"The Ox Bow Incident" in Italia distribuito come "Alba fatale" è un film western di William Wellman (1896-1975) che uscì l'8 maggio 1943 in piena guerra, in un periodo duro e difficile, quindi.

Wellman è un regista poco menzionato, il suo nome nei volumi di Storia del Cinema è poco citato ma è un regista che, secondo me, merita molto rispetto se non altro per aver girato film memorabili ed artisticamente validi come "The Public Enemy" (1931) uno dei primissimi esempi di gangster film, duro secco e scattante in puro stile Warner anni trenta con uno strepitoso James Cagney, per l'altrettanto valido (western in questo caso, proprio come il film di cui andremo a parlare in questo articolo) "Cielo giallo" (1948), e per "The Ox Bow Incident", appunto.

Wellman è un grande costruttore di immagini, di ritmo, di situazioni e osserva tutto con una partecipazione fredda e distaccata. "The Ox Bow Incident" rappresenta uno snodo cruciale all'interno dello sviluppo del cinema western, è un film western classico ma con un occhio già rivolto verso il western crepuscolare dei primi anni sessanta o addirittura verso il western revisionista di fine anni sessanta-inizio anni settanta.

Stiamo parlando di un oggetto filmico complesso, denso, stratificato che presenta un senso ulteriore rispetto alla storia narrata (una vicenda di giustizia fai da te sullo sfondo di un piccolo centro montano del Nevada, nel 1885, un film sulla discutibilità della giustizia della frontiera, dunque).

La bellezza figurativa del film è attraversata da fremiti di tensione destinati a crescere e ad esplodere nelle scena finale, il film procede rigoroso e spietato verso la sua meta ultima: la scena dell'impiccagione (come testimonia la foto in apertura all'articolo), scena in cui il Mito della frontiera viene rovesciato in anti-mito e si tinge del colore cupo della Storia reale, ecco in questo senso "The Ox Bow Incident" è già un film western revisionista, un film che problematizza la storia sociale americana ed interroga le stesse strutture del film western classico (hawksiano-fordiano potremmo dire, semplificando non poco, però).

Il film è anche uno studio psicologico, uno studio delle relazioni fra i vari personaggi e fu (anche per ragioni produttive) girato quasi del tutto in interni: ciò accentua il carattere claustrofobico e di scavo psicologico del film. Il MITO DEL PAESAGGIO, IL PAESAGGIO MITICO, viene lasciato fuori campo, viene estromesso da Wellman. I personaggi umani in questo film rappresentano la Storia, l'anti-Mito, il paesaggio aspro del Nevada (anche se in verità il film fu girato in California) rappresenta invece il Mito; Storia versus Mito, nella scena finale dell'impiccagione (in esterni) le figure umane sono poste in relazione (contraddittoria) con il paesaggio: il MITO DEL LIBERO PAESAGGIO NATURALE SI CONTRAPPONE ALLA COSTRIZIONE UMANA, TROPPO UMANA DELLE BARBARE LEGGI DEGLI UOMINI.

Ecco, secondo me questo film western di Wellman ci presenta un reticolo complesso ed inedito di relazioni uomo-paesaggio e storia-mito.

Ma al di là di questo discorso non dobbiamo dimenticare che il film alla sua uscita da parte della critica più attenta fu letto come uno dei primi esempi significativi di western realista, come western che studia non solo le dinamiche psicologiche ma pone queste ultime in relazione all'ambiente sociale, in questo senso, di nuovo, il Mito rimane fuori, ma anche dentro, come contraltare della vicenda rappresentata.

Il Reale batte l'Immaginario, ma tale dialettica viene rappresentata nel film e passa proprio tramite la contrapposizione scenografica ed iconica fra spazi chiusi e spazi aperti come ho tentato di dimostrare sopra.

Il film fa sicuramente parte della temperie culturale progressista americana degli anni trenta-quaranta (quella che per comodità potremmo definire rooseveltiana e comunque legata al New Deal).

Il film è quasi sicuramente il primo western a problematizzare il mito della frontiera, a metterlo in discussione stagliandosi così isolato nel panorama del Film Western anni quaranta, anche se nello scorcio finale del decennio scende in campo un regista come Samuel Fuller che con il suo film di esordio, del 1949, "I shot Jesse James" smitizza la figura del bandito.

Ed è proprio lo psicologismo del film a smitizzare o addirittura a demistificare il mito della frontiera e la giustizia dei vigilantes. I personaggi non sono più personaggi-simbolo, personaggi-funzioni, attanti come nelle grande tradizione western di Hawks e Ford, ad esempio, ma personaggi-persone, uomini reali, in una certa misura.

Il film costituisce anche un ottimo esempio di Sur Western espressione coniata dal grande teorico del cinema Andrè Bazin il quale definì con le seguenti parole il Sur Western: "un western che si vergognerebbe di non essere che se stesso e che cerca di giustificare la propria esistenza con un interesse supplementare: di ordine estetico, sociologico, morale, psicologico, politico, erotico... insomma con qualche valore estrinseco al genere e che si supponga lo arricchisca".

In questo senso tutto il grande cinema Western è Sur Western: parte del cinema western muto, Ford, Hawks, Boetticher, Daves, Mann, Peckinpah, etc.

Il film di Wellman è un film cupo, nero (e presenta notevoli ed interessanti agganci figurativi al Film Noir, vero e proprio ritorno del rimosso del cinema hollywoodiano anni quaranta e in misura minore degli anni cinquanta) che lascia un barlume di speranza (molto New Deal) solo nella scena finale seguente alla scena dell'impiccagione.

Il western revisionista di fine anni sessanta-primi anni settanta da questo punto di vista è ancora più radicale (nello smontare il Mito) proprio perchè più disperato (nonostante risentisse molto spesso degli ideali progressisti o rivoluzionari dell'epoca).

Ad ogni, "The Ox Bow Incident" è un film molto valido (e non solo all'interno dei canoni del genere Western che anzi concorre, per primo, a stravolgere) di un regista non troppo considerato come William Wellman, il quale, a mio avviso, meriterebbe una retrospettiva.

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