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LA TRILOGIA RIVOLUZIONARIA DI PUDOVKIN


La trilogia cinematografica (1926-1928) del regista russo-sovietico Vsevolod Pudovkin (1893-1953) rappresenta, quasi sicuramente il suo risultato cinematografico ed estetico più importante.

Pudovkin, insieme ad Ejzenstejn, Dovzenko (ma anche Vertov) rappresenta uno dei simboli assoluti del cinema sovietico muto, ed uno (in questo se la gioca con Ejzenstejn) dei teorizzatori maggiori del montaggio come forma distintiva del cinema come linguaggio e sopratutto come nuova arte.

Pudovkin anticipò davvero (ma non fu l'unico fra i registi ed i teorici, sopratutto dell'epoca del muto) la politica degli autori affermatasi poi negli anni cinquanta in Francia.

Per Pudovkin, appunto, l'elemento distintivo del fare cinematografico risiede nel montaggio, nella costruzione e giustapposizione di singole inquadrature, scene e sequenze (piuttosto che nel loro contrasto, come vorrà invece l'altro grande autore del cinema sovietico, Ejzenstejn).

Teoria del "montaggio di ferro", dunque, montaggio come costruzione non solo narrativa, ma di senso (anche se non ejzenstejnianamente costruzione razionale) montaggio come processo trasformativo del materiale filmico e come processo trasfigurativo della realtà e dei suoi processi.

La trilogia rivoluzionaria (tutti e tre i film sono incentrati su vicende di presa di coscienza politica e rivoluzionaria) è composta da "La madre" tratto dall'omonimo romanzo di Maksim Gor'kij ed uscito l'11 ottobre 1926, "La fine di San Pietroburgo" uscito il 13 dicembre 1927 eda "Tempeste sull'Asia" (di cui vediamo una foto sopra) uscito il 10 novembre 1928.

I film di Pudovkin, a differenza di quelli di Ejzenstejn rappresentano pià spesso vicende individuali, piuttosto che collettive e il ruolo della sceneggiatura riveste un peso maggiore.

"La madre" (1926), secondo me ha radici lunghe, lunghissime addirittura nella tragedia greca, poichè oltre all'importante vicenda individuale di presa di coscienza assistiamo alle funzioni di un coro (proprio come nella tragedia greca, il quale faceva da commento all'azione) costituito dalla massa proletaria rivoluzionaria.

L'intreccio è molto importante in questo film di Pudovkin, ma il grande autore sovietico ne ribalta funzioni e struttura; qui ad educare è il figlio, operaio e rivoluzionario e ad essere educata è la madre, figura inconsapevole e passiva.

Assistiamo, quindi già ad un processo rivoluzionario ad un suo afflato, attivo, entusiasta; siamo nel regno dell'attività rivoluzionaria, la realtà data, passiva ed inerte viene trasfigurata dal cinema, dalla sua forza, dalla sua capacità creativa di Immaginario, in più con questo film (e con il rapporto rovesciato fra madre e figlio che rappresenta) Pudovkin bene rappresenta la terza tesi su Feuerbach di Karl Marx, quella che dice: "la dottrina materialistica, secondo la quale gli uomini sono prodotti delle circostanze e dell'educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano le circostanze e che l'educatore stesso deve essere educato. Essa è perciò costretta a superare la società in due parti, una delle quali sta al di sopra dell'altra. La coincidenza nel variare delle circostanze dell'attività umana, o autotrasformazione, può essere concepita o compresa razionalmente solo come prassi rivoluzionaria".

L'intreccio privato (madre/figlio) è di tipo psicologico ma Pudovkin lo immette nel grande flusso rivoluzionario, nella dimensione collettiva politica e sociale; l'individuo va a far parte del Tutto rivoluzionario.

In questo film, come in tutti gli altri suoi film Pudovkin annette grande importanza al montaggio e tenta di superare il montaggio narrativo tipico del cinema di Griffith (il sommo regista statunitense, padre della grammatica cinematografica) e tentare di approdare ad un nuovo montaggio, costruttivo e costruttivista, che tramite giustapposizione di sequenze tenta di creare un senso ulteriore a ciò che viene rappresentato.

"La fine di San Pietroburgo" (1927) è un film dal notevolissimo ritmo visivo e forse, fra i tre quello più segnato da una regia stilisticamente "visibile".

Forse è il film meno narrativo di Pudovkin, quello che più si avvicina alla pura visione, al puro visibile, all'idea di cinema come FLUSSO VISIVO LIBERATO, al cinema come riposizionatore delle strutture della realtà.

Grande importanza assume l'illuminazione, così come le dissolvenze, quasi a voler creare un crescendo nel ritmo, un crescendo rivoluzionario e liberatorio; il film si fa notare anche per le sue notevoli inquadrature dall'alto e dal basso, dai suoi contasti visivi, quindi, i quali creano l'idea di una realtà turbolenta ed in cerca di uno sbocco rivoluzionario.

La FORMA CINEMATOGRAFICA LIBERATA E RIVOLUZIONARIA SI FA PARALLELA ALLA REALTA DA LIBERARE. La notevolissima forza visiva del film comunica e trasmette un notevole pathos rivoluzionario.

Con "Tempeste sull'Asia" (1928), invece, siamo dalle parti dell'epica, questo è forse il film più strettamente epico della trilogia, quello dove la narrazione epica (sorretta dal montaggio costruttivo tipico del regista) si fa pathos rivoluzionario ed emozione liberata e liberatoria.

Nel film si respira un'aria eversiva (più che sovversiva, come nei film precedenti) un flusso rivoluzionario meno incanalato, più "selvaggio".

La scena della cavalcata finale attraverso la pianura mongola costituisce, a mio avviso uno dei momenti altissimi della storia del cinema mondiale.

I tre film, come ho cercato di far comprendere sono molto diversi tra loro, e sono tenuti insieme solo dal denominatore comune della rivoluzione, anzi, sarebbe più corretto dire della presa di coscienza rivoluzionaria: quella di una madre educata dal figlio (La madre), quella di un contadino emigrato a San Pietroburgo il quale diventa un operaio rivoluzionario nel suo impatto con la realtà urbana e di fabbrica (La fine di San Pietroburgo) e quella di un mongolo delle steppe che rifiuta il potere bianco e occidentale (ed il suo logos) e si fa rivoluzionario (Tempeste sull'Asia).

Un cinema rivoluzionario, quello di Pudovkin (sopratutto quello muto, in piena epoca staliniana il suo cinema si farà più accademico) non solo nel suo contenuto, ma anche (e sopratutto) nella sua forma.

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