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PICNIC AD HANGING ROCK (1975)


Il film "Picnic ad Hanging Rock", uscito l'8 agosto 1975 impose il nome del regista Peter Weir (1944) anche fuori dai confini australiani e fece conoscere, nel resto del mondo il fenomeno dell'Australian New Wave, del nuovo cinema australiano nato nei primi anni settanta.

Peter Weir si impose subito come uno dei nomi di punta, se non come il nome di punta di quel nuovo fenomeno.

Il film di Weir non ha una vera e propria trama, si può tranquillamente definire un esempio di cinema dalla narrazione debole: ambientato nell'anno 1900 presso un collegio femminile australiano si ispira ad un fatto di cronaca in cui tre allieve di detto istituto scomparvero misteriosamente durante un'escursione ad Hanging Rock, appunto, formazione geologica (che si diceva fosse dimora di entità sovrannaturali) situata nello stato di Victoria, nell'Australia sud-orientale.

Il film è caratterizzato dall'inspiegabile, dal mistero (e dal mistero che assume molti connotati diversi). Il regista non spiega gli avvenimenti, ma LI RAPPRESENTA, li lascia liberi nel loro senso misterioso e plurimo.

Peter Weir oltrepassa quasi immediatamente il confine del logico e del verbale per approdare nei territori misteriosi non dell'illogico, ma del pre-logico e non del verbale ma del puro visibile, del puro rappresentabile.

Il regista appunto non spiega nulla, ma mostra: un mostrare però denso di significato, ma di significato nascosto e libero, mutevole. Forse pochi film nella storia del cinema raggiungono tali vette di bellezza misteriosa e di apparente non-senso e assurdità (come sono sparite le tre ragazze? e che cosa è successo davvero?).

Il film stesso è sul mistero: sul mistero dell'universo, sul mistero della natura, sul mistero femminile; in più sul non-detto e sul non-dicibile della repressione sessuale vittoriana (teniamo presente che l'Australia è un'ex colonia inglese e tuttora forti sono i legami culturali fra la Gran Bretagna e la nazione oceanica).

Il film quindi si incentra sul mistero, in molti sensi, e anche, io credo una teorizzazione del superamento dei limiti narrativi, si rappresenta l'oltre, il di più, il non detto: il film oltrepassa le coordinate narrative classiche per arrivare a rappresentare ciò che non si vede ma c'è, l'essenza profonda di alcuni fenomeni.

In questo senso, io credo, il film di Weir potrebbe essere accostato a "Blow Up" (1966) di Michelangelo Antonioni: entrambi i film rappresentano una realtà diversa dietro la realtà conosciuta.

In un'intervista risalente al 1964 Antonioni parlò di immagine e di realtà; una dichiarazione illuminante non solo sul suo cinema, ma anche sul film di Peter Weir, Antonioni dichiarò:

"noi sappiamo che sotto l'immagine rivelata ce n'è un'altra più fedele alla realtà, e sotto quest'altra un'altra ancora, e di nuovo un'altra sotto quest'ultima. Fino alla vera immagine di quella realtà, assoluta, misteriosa, che nessuno vedrà mai. O forse fino alla scomposizione di qualsiasi immagine, di qualsiasi realtà".

Non voglio dire che Peter Weir si sia spinto fino al proposito di scomporre l'immagine e la realtà, ma sicuramente si è mosso nella direzione di svelamento di un'oltre-realtà misteriosa ed insondabile.

Nel film l'attore principale non è l'uomo, bensì la Natura, la natura misteriosa, insondabile e proprio in quanto tale inquietante. I grandi spazi australiani recitano la loro parte, nel film: il "grande vuoto australiano" (presenza costante in molti romanzi del grande scrittore australiano Patrick White, ad esempio) è un vuoto-non vuoto, un vuoto-pieno carico di mistero, di indicibilità, di inquietudine.

La Natura riveste caratteristiche ambigue: maligna e benigna, predatrice di alcune vite, ma forse complice di una loro liberazione da lacci e legami psico-sessuali vittoriani; la Natura si erge anche maestosa contro l'organizzazione sociale vittoriana incarnata dall'Istituto, siamo dalle parti appunto (come è stato spesso scritto) di un conflitto Natura/Cultura, ma le ragazze scomparse forse sono risucchiate-liberate nella Natura; il mistero femminile torna alla propria origine, la Donna ritorna alla Natura, alla Terra, al principio matriarcale.

In questo senso il film acquisisce caratteristiche socio-politiche ben definite, di difesa non tanto della dignità femminile, ma del suo mistero e della sua bellezza.

Il film è intriso di pittoricismi e raggiunge un altissimo profilo visivo; Peter Weir tiene conto, per la realizzazione del film di molta cultura australiana, tra cui la scuola pittorica dell'Impressionismo Australiano (scuola di Heidelberg) e nella fattispecie di un pittore come Frederick McCubbin (1855-1917) e di un suo dipinto, "Lost" (1886).

Nella stessa scuola pittorica australiana la Natura è protagonista, è personaggio, come si può notare. Nel film di Weir la Natura rappresenta il contraltare della civiltà, ma di una civiltà repressiva ed impostata su caratteristiche fortemente patriarcali (anche nel caso dell'Istituto retto da una donna).

Natura, come ho scritto che risucchia e libera, la figura femminile torna alle proprie origini arcane, misteriose. Ma assistiamo anche ad una intensificazione dell'esperienza del Reale proprio tramite l'uso del ralenti che contribuisce e non poco a rendere rarefatta l'atmosfera, gli eventi, le azioni, siamo dalle parti dell'OLTRE-REALTA', dell'ULTRA-REALTA', o come affermò Peter Weir assistiamo ad "una più sottile esperienza del reale": più sottile in quanto ulteriore, ed ulteriore in quanto più sottile, aggiungo io.

La Donna come protagonista (invisibile perchè risucchiata, e proprio in quanto risucchiata che si erge a protagonista) di una nuova esperienza del reale, di un NUOVO ESPERIBILE: la donna viene risucchiata dal mistero naturale e si fa tutt'uno con esso, abbattendo gerarchie e ruoli codificati e definiti della società australiana vittoriana.

Un film da studiare, da vedere e rivedere: Peter Weir non ha mai più raggiunto tali vette cinematografiche ed estetiche, si tratta di un'opera composita e stratificata, dalla grandissima densità visiva.

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