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IL MUCCHIO SELVAGGIO (1969)


"Il mucchio selvaggio", film western di Sam Peckinpah (1925-1984) uscì sugli schermi il 18 giugno 1969 ed attirò violente polemiche per la rappresentazione cruda ed esasperata della violenza.

Il film bene emblematizza tensioni del cinema della New Hollywood (1967-1980) vale a dire del nuovo corso estetico e produttivo di Hollywood, corso che vide protagonisti, fra gli altri, oltre Sam Peckinpah registi come Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Peter Bogdanovich, Robert Altman, Brian De Palma e molti altri.

Peckinpah è probabilmente il principale rinnovatore dei canoni e degli stilemi del western (almeno negli Stati Uniti), rinnovamento che bene si notò già nel suo secondo film, "Sfida nell'alta Sierra" (1962) opera segnata dai toni crepuscolari e dalla rappresentazione maggiormente realistica della violenza.

Peckinpah esordì nel 1961 con un film che fu massacrato dalla produzione ("The deadly companions" 1961) così come massacrato dalla produzione fu il suo terzo film, del 1965, "Sierra Charriba", per gran parte degli anni cinquanta e sessanta lavorò quindi per la televisione (girando molti episodi di serie televisive allora in voga) e sempre negli anni cinquanta era stato aiuto-regista del regista Don Siegel (autore, nel 1971, del primo film della serie Callahan, "Dirty Harry").

Con il 1969 arriva il suo primo capolavoro: "Il mucchio selvaggio" approfondisce, assimila e oltrepassa le nuove coordinate gettate da Peckinpah già nel 1962 con "Sfida nell'alta Sierra".

Il film fece molto discutere.

La rappresentazione della violenza era cruda, cinica, disperata ed anche lo stile del film risultò fortemente innovativo.

Il film è percorso da un senso crepuscolare e da fremiti di morte (morte non solo fisica, ma anche morte di un'epoca, quella del Far West e di una umanità, i fuorilegge di quel mondo), e non è un caso che il film è ambientato nel 1913 e fuori dagli Stati Uniti, in Messico, nel pieno della rivoluzione di Villa e Zapata.

Il film presenta un ritmo vertiginoso nel montaggio e nel ritmo: sono state contate oltre 3600 inquadrature (per la precisione 3643 inquadrature in un film della durata di quasi due ore e mezzo).

Con una frammentazione così accentuata alcune scene sono brevissime (appena tre o quattro fotogrammi), così brevi da sfiorare il subliminale.

Il film spezza, in questo modo, la continuità percettiva dello spettatore, spezza le coordinate visive, oltrepassa i limiti e conduce verso territori inesplorati dell'invisibile reso visibile: invisibile reso visibile, che molto spesso coincide con la violenza, o forse bisognerebbe scrivere con la Violenza (per Peckinpah la violenza è un dato eliminabile dell'uomo e della realtà ed assume connotati catartici e liberatori).

Altra caratteristica fondamentale del film (e caratteristica, è bene dirlo di molto del cinema di Peckinpah almeno a partire dal 1969 in avanti) è l'uso inedito del ralenti.

Il film presenta molte scene girate al ralenti: ralenti come studio spettacolare della violenza, come leva per una maggiore penetrazione visiva della violenza e della morte.

Anche in questo caso Peckinpah riesce ad intensificare la percezione dello spettatore a rendere visibile l'invisibile od il poco-percettibile.

Peckinpah è stato un RIVOLUZIONATORE DELLA VISIONE, ed in quanto tale un grande Autore cinematografico.

Anche la rappresentazione della violenza, nel cinema di Peckinpah non è mai gratuita o fine a se stessa ma sempre inserita in un contesto più ampio, esso stesso segnato dalla violenza.

Montaggio subliminale e ralenti, quindi; ampliamento ed espansione della percezione visiva, rappresentazione tragica della violenza: violenza che permea un intero ambiente, un'intera epoca.

Lo studioso Valerio Caprara ha messo bene in luce la derivazione naturalistica di quest'opera di Peckinpah: il film risulta debitore della letteratura naturalistica americana proto-novecentesca (dei vari Garland, Norris, Dreiser, London) proprio nella rappresentazione cruda di alcuni istinti umani; e pensiamo soltanto alla pulsione, si potrebbe ben dire dell'avidità dei bounty-killers ed al loro appaiamento visivo con gli avvoltoi che volteggiano sui cieli del villaggio messicano (epicentro della vicenda e della battaglia finale fra il mucchio selvaggio di Pyke Bishop e i contro-rivoluzionari messicani agli ordini di Mapache, bandito psicopatico autoproclamatosi generale ed interpretato da Emilio Fernandez importante regista messicano il quale si mise in luce sopratutto con alcuni melodrammi degli anni quaranta veri e propri simboli dell'epoca d'oro del cinema messicano).

Il film è una rappresentazione delle pulsioni umane (avidità, desiderio sessuale, violenza) che, appunto lo rende assimilabile alle maggiori tendenze letterarie statunitensi di inizio Novecento.

Il film risulta innovativo dal punto di vista non solo tematico ma anche stilistico e tecnico (basti pensare che Peckinpah girava con almeno sei cineprese ognuna a velocità diversa).

Questo concorre a creare una percezione allargata ed una rappresentazione più ampia (ed anche molto più straniante) di un dato ambiente, di una data atmosfera, di una data situazione.

Il film stordisce proprio in virtù delle sue caratteristiche rivoluzionarie (formali, stilistiche, tecniche). Tramite l'uso del ralenti la violenza risulta belle da un punto di vista coreografico e spettacolare: una violenza rappresentata crudamente ma caratterizzata anche da una bellezza coreografica.

Io non credo, come sostenuto da più parti che Peckinpah si un semplice smitizzatore dell'epos western (e un decostruttore del genere cinematografico western, alla stessa stregua, ad esempio del Robert Altman di "Mc Cabe and Mrs Miller" (1971) o dell'Arthur Penn di "Piccolo grande uomo" (1970), per tacere di altri casi) ma uno smitizzatore che proprio smitizzando dona ai suoi personaggi ed alle sue vicende una nuova epica, sporca di sangue e violenza, ma a suo modo leggendaria.

Il "why not?" pronunciato da uno dei membri del mucchio ed in italiano reso con un meno efficace "andiamo" prima della bellissima e lunga sparatoria-battaglia finale fa assurgere all'intera vicenda ed ai membri della banda toni da leggenda epica.

Lo stesso ralenti enfatizza il carattere epico, anche della morte di tutti i membri del mucchio, sparatoria e morte ambigue, ambivalenti: nichilistiche (la sparatoria è un'orgia di sangue e violenza) ma al contempo in difesa degli oppressi del villaggio.

Il film si muove in questo spazio intermedio fra nichilismo e senso di giustizia, fra smitizzazione e (nuovo) epos, si muove, dunque, in uno spazio autonomo, unico, creato demiurgicamente da Peckinpah.

Il regista con questo film rifonda la visione, la percezione, la resa della realtà, fino a crearne una del tutto nuova, inedita: rifondazione assoluta, totale, propria di un grande Autore quale Sam Peckinpah era.

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