IL CINEMA DI ALFRED HITCHCOCK
Alfred Hitchcock (1899-1980) è un grande maestro del cinema che ha dovuto faticare non poco per conquistare la "patente" di autorialità presso critici, studiosi e storici del cinema.
Fino alla metà degli anni cinquanta il suo cinema veniva suoperficialmente liquidato come "cinema della suspense" o "cinema del brivido" e sir Alfred bollato come abile intrattenitore o abile mestierante.
Ma alla metà degli anni cinquanta avviene un fatto importante: la giovane critica, quella più avveduta incomincia a fornire una rilettura approfondita dell'opera hitchcockiana mettendo in rilievo una forma e uno stile precisi, l'attitudine alla sperimentazione, tematiche ricorrenti, insomma un profilo autoriale.
La riabilitazione fu compiuta, in quegli anni, in Francia, presso i giovani critici (e futuri registi) dei Cahiers du Cinema (Godard, Truffaut) teorizzatori della "politique des autheurs" (politica degli autori) la quale rivalutò ampiamente molti registi considerati riduttivamente "di genere" ed elevandoli (giustamente) allo status di "autori": emblematici i casi, oltre che di Hitchcock, di John Ford e Howard Hawks.
Nel 1957, sempre in Francia esce il primo vero studio approfondito sul cinema di Hitchcock, un libro scritto a quattro mani da Eric Rohmer e Claude Chabrol (appartenenti al gruppo dei Cahiers du Cinema, futuri registi e fondatori della Nouvelle Vague insieme a Godard, Truffaut e Rivette).
Alfred Hitchcock, nato a Londra, incominciò a lavorare nel campo cinematografico nel 1920 realizzando bozzetti e come caporeparto titoli e didascalie presso gli stabilimenti di Islington.
Esistendo accordi commerciali fra case di produzione inglesi e tedesche viene inviato nel 1924 da Michael Balcon a Berlino, agli studi UFA, dove conosce il grande regista tedesco Murnau e scopre il grande cinema tedesco muto (il cinema espressionista, il Kammerspielfilm, la nuova oggettività) rimanendone profondamente segnato (proprio per la dimensione di incubo del suo cinema).
Influenza espressionista che bene si nota nel suo primo film significativo "The lodger" (1927) in cui i motivi della colpa e dell'innocenza, dell'apparenza e della verità, di un innocente ingiustamente incolpato assumono connotati metafisici e filosofici, motivi quasi sempre presenti in molti suoi film sia del periodo inglese (che si chiude, ricordiamolo, con "Jamaica inn", del 1939) che del periodo americano (che si apre nel 1940 con "Rebecca" e si chiude nel 1976 con "Family plot").
Per motivi di spazio non posso tenere conto dell'intera produzione filmografica hitchcockiana (davvero vasta), mi concentrerò quindi solo su alcune opere.
Come ho appena scritto Hitchcock prosegue la carriera cinematografica nel 1940, ad Hollywood, dove gira il bellissimo "Rebecca", vera e propria fiaba nera e gotica.
Comunque il periodo inglese è pieno di ottimi film, dal già citato "The lodger" (1927) a "Blackmail" (1929), primo film sonorizzato, alla prima versione di "L'uomo che sapeva troppo" (1934), etc.
Forse summa del suo cinema (e il film che meglio rappresenta la sua opera) è "Vertigo" del 1958.
Si tratta di un film complesso e stratificato che fornisce svariati piani di lettura, nel quale viene rappresentata una vicenda torbida intrisa di feticismo e necrofilia.
Nel film sono presenti molti simboli, i quali si connotano di significati plurimi e di senso arcano, a cominciare dal simbolo della spirale (richiamata in vari modi, dalla scala a chiocciola del finale all'acconciatura dei capelli di Kim Novak), spirale come concetto-senso del film, come forma assoluta, pura la quale predispone una visione ipnotizzata, ossessiva del film.
Pensiamo anche solo alla bellissima locandina del film; il film è tutto incentrato sulla vertigine sessuale, sul feticismo e la necrofilia.
Un film dai toni romantici e maledetti.
L'incubo di James Stewart (realizzato in porte con disegni animati) è un esempio avanguardistico di cinema puro, Hitchcock cerca di raggiungere la purezza della visione e dell'immagine, l'astrazione della vertigine dell'incubo (ed ecco, ad esempio un suo tratto autoriale, il forte legame che intreccia con il cinema sperimentale e la sua forte attitudine alla sperimentazione ed all'innovazione).
"Psycho" (1960) rappresenta, secondo me, la negazione, o meglio, il contraltare di "Vertigo", a fronte di un ricco cromatismo e di una messa in scena più "sontuosa" assistiamo, in "Psycho" ad un bianco e nero povero, quasi dimesso.
Tant'è vero che Hitchcock voleva che il "Psycho" sembrasse un film exploitation a basso costo.
Il film è una rappresentazione dell'anormale, qualcuno ha scritto che, vedendo il film, assistiamo ad una scala ascendente dell'anormale, ed in effetti è così:
nelle scene iniziali assistiamo ad una scena di adulterio, poi un furto, poi un delitto, due delitti, ed infine la psicopatia.
La psicopatia viene, da Hitchcock, inscenata e rappresentata cinematograficamente in tutta la sua evidenza.
"Psycho" è un film apparentemente povero e scarno (da un punto di vista formale e di "look") e che, proprio in virtù di questa essenzialità riesce a meglio rendere la dimensione patologica e la paura, l'inquietudine che la devianza mentale trasmette.
Un film come "Gli uccelli" (1963) è un'opera dal forte contenuto simbolico: gli uccelli rappresentano non solo (e non tanto) la natura che si ribella all'uomo (come è stato a volte scritto), quanto piuttosto in maniera più sottile e profonda l'irruzione dell'inconscio, dell'Es, del principio di piacere (di contro al principio di realtà), dell'Altro.
Ma gli uccelli possono anche rappresentare l'irruzione del Femminile, del Principio Femminile nella casa di Rod Taylor e della madre vedova (ed io credo, che, sottilmente il film ci presenti molti accostamenti fra il personaggio di Tippi Hedren e gli uccelli).
Gli uccelli potrebbero simboleggiare una incursione liberatoria all'interno della famiglia patriarcale e di una società retta dal principio di realtà.
Il finale del film è bellissimo, aperto, ambiguo e che lascia spazio alla più libera interpretazione.
"Marnie" (1964) fu, secondo me, un film poco capito. Il critico Leonard Maltin ha scritto che fu un film avanti per i tempi, io aggiungerei che fu un film anche indietro (indietro in modo geniale) per i suoi tempi:
"Marnie" rappresenta un curioso quanto coraggioso tentativo di film espressionista alla metà degli anni sessanta, il film fu coraggiosamente sperimentale e paradossalmente di avanguardia proprio perchè combattè una battaglia retrò.
Il film si richiama al cinema tedesco degli anni venti proprio nell'uso insistito dell'artificio, nell'uso emotivo del colore (rosso):
il rosso come colore dominante del film (i ricordi e gli incubi della protagonista), la tempesta ostentatamente artificiale, l'ostentazione dei fondali: il film ha radici nel cinema muto tedesco degli anni venti e rappresenta la carta di identità stilistica di Hitch.
Il cinema di Hitchcock deriva dal cinema di Murnau, Lang, etc. e basti pensare (come ho già accennato in apertura dell'articolo) al periodo passato presso gli studi UFA di Berlino, nel 1924-1925.
Il film è stilisticamente e tecnicamente audace (mi viene in mente la scena finale del marinaio girata con lenti deformanti) le quali enfatizzarono lo stato onirico e di incubo della prortagonista e del film.
"Marnie" è davvero un grande film e meriterebbe una più generale rivalutazione, ma non è secondo me l'ultimo grande film di Hitchcock come afferma Donald Spoto.
Io credo che "Frenzy" (1972), girato a Londra, sia un grande film, molto sottovalutato, anche dagli estimatori di sir Alfred.
Hitchcock rappresenta una Londra dei ricordi, folkloristica, un po' stereotipata, una Londra frutto dei suoi ricordi e della sua nostalgia (pensiamo sopratutto alle scene del vecchio mercato del Covent Garden).
Hitchcock, con questo film gioca sullo stesso terreno di giovani registi (come Dario Argento) creatori di opere violente in bilico fra thriller ed horror.
Da questo punto di vista "Frenzy" è in linea con tutta una tendenza cinematografica tipica dei primi anni settanta.
Il film è attraversato da una violenza grafica inedita in Hitchcock e che davvero lascia pensare che Hitchcock guardò al thriller dei primi anni settanta.
Il famoso pianosequenza all'indietro (con la cinepresa che si ferma sul pianerottolo di casa dell'assassino, non mostrandoci quindi il delitto che avviene all'interno dell'appartamento e ripercorrendo all'indietro le scale fino a posizionarsi dall'altra parte della strada in una ripresa frontale dell'edificio) oltre a disattendere le aspettative dello spettatore (e che tratto autoriale!) raccorda in un movimento spazio-temporale, a mio avviso, due piani diversi: il piano dell'incubo e della psicopatia a quello della quotidianità, un movimento della cinepresa non solo spaziale, ma anche temporale e io dico CONCETTUALE, di immissione e non di semplice accostamento dell'incubo nella quotidianità
Una scena bellissima e misteriosa, come bellissimo e misterioso, è, più in generale tutto il cinema di Alfred Hitchcock.