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HUD (1963)

"Hud" del regista Martin Ritt, uscito sugli schermi statunitensi il 28 maggio 1963, è davvero un film-cerniera fra il cinema "familiare" e "generazionale", melodrammatico e di scavo psicologico di metà-fine anni cinquanta (e che prendeva spesso ispirazione dall'opera di Tennessee Williams) e il cinema della New Hollywood (la quale, ricordiamolo "nasce" nell'estate 1967 con l'uscita di "Bonnie and Clyde" di Arthur Penn).

Un film a sè, un regista a sè, Martin Ritt (1914-1990), il quale comunque condivideva con altri registi esordienti fra metà e fine anni cinquanta (come Sidney Lumet e John Frankenheimer) una formazione televisiva (i famosi teledrammi degli anni cinquanta, e teatrale, come l'esperienza dell'Actor's studio) ma Ritt si distingue per una maggiore propensione all resa psicologica ed allo studio dei personaggi (o al limite di un solo personaggio), laddove Lumet, ad esempio, era più attento alla costruzione di un cinema civile e di denuncia, o Frankenheimer alla decostruzione del film di spionaggio, ad esempio (pensiamo a "The Manchurian candidate").

Studio di un personaggio, studio di personaggi e rappresentazione del rapporto psicologico, generazionale, emotivo fra i vari personaggi rappresentati nel film.

Questa, in brevissima sintesi la disposizione di Martin Ritt e del suo cinema che, è bene dirlo, viene fuori con forza inedita proprio in questo film del 1963, interpretato da Paul Newman (come Hud), Melvyn Douglas (il padre), Brandon De Wilde (il nipote di Hud) e Patricia Neal (la governante).

Il film è uno scavo psicologico del personaggio-protagonista, e studio amaro di un certo ambiente texano e di una certa psicologia texana.

Martin Ritt pone in rilievo le relazioni psicologiche, anche le più sottili, che si instaurano fra i quattro personaggi.

Hud è un "macho" immaturo, irresponsabile con tendenze al bere in guerra con il padre (uomo dai solidi principi morali), il nipote di Hud, Lonnie, ha eletto lo zio come modello, ed entrambi sono attratti sessualmente dalla governante, Alma.

Il film inscena tali relazioni psicologiche, da cui scaturiscono tensioni psicologiche e malessere.

Il film si chiude con la morte del padre, un tentativo di violenza carnale da parte di Hud (verso la governante), il disgusto morale del nipote verso Hud (il quale prima, come ho scritto, era un modello di machismo e intraprendenza per il nipote), e sopratutto il film finisce rappresentando la SOLITUDINE del protagonista, solitudine che esplode alla fine del film in tutta la sua portata drammatica, ma che ha accompagnato il personaggio nel corso dell'intero film, nel corso dell'intera vita.

Come ho scritto in apertura dell'articolo, il film costituisce un passaggio fra certo cinema americano di metà-fine anni cinquanta e la New Hollywood che esploderà fra la metà e la fine degli anni sessanta. Il film racchiude in se il melodramma di Douglas Sirk (non dal punto di vista stilistico-formale dato che il melodramma sirkiano si distingueva per l'acceso cromatismo virato espressionisticamente ed "Hud", invece, è un film in bianco e nero, uno stupendo bianco e nero, molto contrastato) nella rappresentazione di drammi familari, di sventure, di malessere emotivo e psicologico. Per lo scavo psicologico dei personaggi, per la rappresentazione di certe vicende familiari il film si avvicina, e molto, all'opera teatrale di Tennessee Williams (fonte di certo cinema americano degli anni cinquanta, un esempio su tutti, "La gatta sul tetto che scotta", di Richard Brooks, del 1958, film che vede protagonista Paul Newman), per la rappresentazione del conflitto generazionale (e di certa rabbia e malessere) il film richiama "Rebel without a cause" (1955) con James Dean, di Nicholas Ray.

Ma il film è anche (punto molto importante) uno studio della provincia americana, nella fattispecie texana e del suo carattere torbido, e del suo sfacelo (civile, morale).

La fotografia (ricordiamo che direttore della fotografia per questo film era l'immenso James Wong Howe) è molto contrastata, come a volerci plasticamente evidenziare il contrasto psicologico ed emotivo che percorre tutto il film.

Quindi il film riassume in sè molto cinema americano della seconda metà degli anni cinquanta, ma preannuncia anche il cinema della New Hollywood (un certo carattere decadente e torbido della provincia, ad esempio, che ritroveremo in pieno in "Midnight Cowboy" film di John Schlesinger del 1969, e che in Italia fu distribuito come "Un uomo da marciapiede").

Sulla rivista online "Images" compare una bella analisi, a firma di Ann Barrow, sui rapporti intertestuali fra "Hud" e "Midnight Cowboy" accomunati da certe linee comportamenteli di fondo dei due protagonisti (un esibito machismo texano, un po' da cowboy, tanto per intenderci), non è un caso che il protagonosta di "Midnight Cowboy" attacchi sul muro della sua stanza il poster di "Hud": ciò non è casuale ma costituisce un richiamo intertestuale ed un omaggio cinefilo da parte di John Schlesinger, il film del 1969 dialoga costantemente con il film del 1963, a mio avviso: la "resa atmosferica" del Texas è simile, come è simile il senso di DECADENZA E SOLITUDINE dei protagonisti e del loro ambiente, la cupezza di un certo ambiente rurale tevano è ben presente in entrambi i film, i quali sono talmente legati da farmi scrivere che la vicenda di Joe Buck (protagonista di "Midnight Cowboy") ha inizio laddove ha fine la vicenda di Hud: dalla sconfitta, dal senso di solitudine e sfacelo, in più Joe Buck raccoglie l'eredita di un machismo esibito e smaccato.

Film sulla solitudine, "Hud", e profondamente cupo (una cupezza tutta New Hollywood, mi verrebbe da dire) e sulla mancazna di redenzione morale del protagonista (ed ecco il suo carattere moderno, nel 1963, il quale preannuncia l'avvento di un nuovo cinema americano).

Per tutti i caratteri che ho tentato di mettere in luce in questo mio articolo, "Hud" (1963) rappresenta un film-seminale nella storia del cinema americano, vero film-passaggio fra due epoche e due tendenze.

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