IL CINEMA DI FELLINI E IL NEOREALISMO
Il cinema di Federico Fellini è diventato, nel corso degli anni, sinonimo di cinema onirico, surreale; di conseguenza potrebbe sorprendere il fatto che il suo cinema (sopratutto il suo primo cinema) si situi in quella tendenza chiamata neorealismo.
Un cinema, quello neorealista che privilegia locations reali (e non ricostruite in studio), un'attenzione ai piccoli drammi, alla situazione sociale, alla quotidianità.
A mio avviso il cinema di Fellini ha radici lunghe nel terreno neorealista, e nella fattispecie in quello rosselliniano.
Nel 1945 il giovane Fellini (venticinquenne) incontra Roberto Rossellini e collabora alla stesura delle sceneggiature di "Roma città aperta" e "Paisà". La collaborazione con Rossellini risulta essere, per il giovane Fellini, un efficace addestramento cinematografico ed estetico.
Fellini debutta alla regia nel 1950 in collaborazione con Alberto Lattuada nel film "Luci del varietà", ma il vero debutto avviene due anni dopo, nel 1952, con il film "Lo sceicco bianco".
Il film costituisce, a mio avviso, una trasformazione dei canoni neorealisti all'interno del neorealismo: vi è un attenzione al dato quotidiano, ai rapporti di coppia, alcune interessanti notazioni di costume (sulla famiglia, ad esempio); ed anche un'attenzione al paesaggio urbano (ed anche in questo il film mostra tutti i suoi legami con il neorealismo), ma un'attenzione al paesaggio urbano, si badi bene, trasfigurato in senso magico ed onirico: noi guardiamo Roma con occhi incantati e vergini, con gli occhi di Ivan Cavalli (interpretato da Leopoldo Trieste) il provinciale in viaggio di nozze.
E lo stesso personaggio interpretato da Alberto Sordi (lo sceicco bianco, appunto) rappresenta l'irruzione del magico, del fantastico nel reale (anche se un fantastico posticcio e di cartapesta, mi viene da dire), lo sceicco bianco sull'altalena rappresenta la scena di rottura con il canone neo-realista e la ribellione edipica del giovane Fellini nei riguardi del padre cinematografico Rossellini.
Il film ci propone una sorta di realismo magico, onirico, surreale, misterioso; un cinema neorealista non più neorealista; un film che travalica tutte le coordinate fin lì raggiunte.
Il critico Callisto Cosulich definì il film "il primo film anarchico italiano". Il successivo film di Fellini, "I vitelloni", del 1953 prosegue l'erosione dello standard neorealista (se di standard si può parlare, ma in questa sede parlo di standard per comodità) presentandoci alcune scene o inquadrature di notevole bellezza figurativa e che trasfigurano in senso poetico e magico il dato reale e quotidiano:
"I vitelloni" presenta in embrione quella qualità notturna del cinema felliniano a venire (e penso sopratutto a "La dolce vita"); la notte in cui compaiono maschere grottesche e "mostri":
Nonostante il neorealismo rappresenti il sostrato vitale da cui il cinema di Fellini germoglia lo sentiamo già lontano, già diverso.
Vero punto di svolta, nel cinema di Fellini, vero film-deflagrazione del neorealismo è costituito però da "Le notti di Cabiria" (1957).
Questo film rappresenta un tratto di unione fra il neorealismo anomalo, eccentrico delle prime opere e il superamento ormai irreversibile e totale del cinema neorealista che si inaugura proprio nel 1960 (annus mirabilis nella storia del cinema italiano, anno in cui vedono la luce anche "L'avventura" di Antonioni e "Rocco e i suoi fratelli" di Visconti) anno in cui esce "La dolce vita".
"Le notti di Cabiria" è un film-poema sensibile e delicato sulle disavventure di un ingenuo personaggio femminile. Un film che sovverte molte regole, anche del cinema classico: nel cinema classico era proibito la sguardo in macchina, ad esempio, ed invece la scena finale del film ci presenta uno sguardo in macchina "dolce e fulminante" come ebbe a scrivere il grande Andrè Bazin, uno sguardo carico di pathos che rompe la trasparenza del cinema classico e che ci fa "sentire" la presenza della cinepresa. Di questo stilema si ricorderanno i registi francesi della nouvelle vague che esordiranno di lì a pochi anni (nel 58-60) e sopratutto Jean Luc Godard.
Il film si riallaccia al fiabesco notturno, all'esperienza onirica, al meraviglioso (basti citare la scena della villa del divo, interpretato da Amedeo Nazzari).
Il film presenta anche notevoli notazioni paesaggistiche e luministiche, come la seguente:
"Le notti di Cabiria" supera il neorealismo mediante accorgimenti stilistici e tecnici: tramite un'enfasi particolare posta sugli effetti sonori (il risalto dato al rumore del vento, ad esempio) Fellini sposta l'asse percettivo dello spettatore, l'enfasi sonora rende onirico e magico ciò che, in sua assenza risulterebbe quotidiano e realistico.
Reputo molto importante l'uso del sonoro nel cinema di Fellini perchè rappresenta una chiave di volta del suo stile "oltre il neorealismo". L'enfasi posta su alcuni suoni spezza la continuità narrativa, sposta l'asse percettivo dello spettatore, fa irrompere nel tessuto narrativo del film una intercapedine di pura visione, di puro visibile, di sogno e di attesa magica e stupefatta.
Comunque le (dis)avventure di Cabiria preannunciano le peregrinazioni di un'anima notturna quale Marcello Rubini (interpretato da Marcello Mastroianni) in "La dolce vita", sullo sfondo di una Roma decadente e misteriosa.
Con "Le notti di Cabiria" la struttura narrativa si fa sempre più debole e sfilacciata, preannunciando così il cinema moderno, in più il film supera il neorealismo anche nella frammentazione in episodi, nel venire meno di una compattezza narrativa e strutturale (ma questo a ben vedere era già incominciato in parte con il neorealismo stesso, basti pensare alle peregrinazioni di Lamberto Maggiorani in "Ladri di biciclette").
"La dolce vita" rappresenta l'intensificazione stilistica e strutturale di "Le notti di Cabiria", ed il film che inaugura, con i già menzionati "L'avventura" e "Rocco e i suoi fratelli" il cinema moderno in Italia.
Da "La dolce vita" in poi il cinema di Fellini non sarà più lo stesso ed assumerà sempre più le caratteristiche di cinema onirico e surreale e presenterà sempre di più quella "galleria di mostri" e di "meraviglie": il cinema di Fellini come una sorta di gabinetto delle curiosità, delle meraviglie.
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